martedì 30 luglio 2013

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[precede] una bruma nevosa, la conseguenza della violenza, la necessità di stare in piedi, sorridere ed agire come se tutti fossimo ancora umani. Alcuni degli organizzatori della marcia della CAG parteciparono al party. Ogni momento fu tinto dal senso di cercare di non svenire, cercare di resistere, e resistere per appena un secondo in più, un altro ancora, e poi ancora, finché non mi riesce infine di arrivare a casa. Praticamente nessuno ricambiò il mio sguardo.

Quando arrivò il momento di Lilach, lei salì sul palco con la chitarra e dedicò a sua canzone a me. Era una canzone sull'amore e la rivoluzione, sul creare insieme il cambiamento, sull'amore, la sorellanza, la rabbia e l'orgoglio [Nota 41]. Vidi come mi guardava, il suono della sua voce e la luce nei suoi occhi, e capìi che si era innamorata di me. Anche se la nostra relazione sarebbe iniziata solo alcuni mesi dopo - qui, tra l'orgoglio, la violenza, la lotta, il dolore e la speranza - ci fu il seme del nostro amore.

Dopo una lunghissima camminata verso la macchina, tornammo a casa con un amico. Eravamo in quattro in macchina, l'ora era tarda, esausti e rovinati parlammo di politica bi. Parlammo della comunità transgender, della CAG, dei nostri sentimenti di cancellazione e di essere senza casa, parlammo della comunità bisessuale che volevamo costruire. Volevamo un luogo in cui sentirci a casa. Un posto in cui sentirci inclusi e celebrati. I bisessuali sono come le erbacce - cresciamo tra le crepe, tra i poderi, dovunque noi siamo è il posto sbagliato, siamo sempre un disturbo, sempre estirpati. Volevamo un posto in cui sentirci benvenuti. Volevamo cambiare la comunità. E volevamo cambiare la società.

Mi alzai il mattino dopo, trovando un'Internet che ronzava di discussioni su di noi e sulla nostra azione. Cominciò dai notiziari di GoGay sulla marcia, che comprendevano la nostra azione, e continuò per tutto il mese successivo con una media di due articoli la settimana, tutti che scrivevano e commentavano la nostra azione. Com'era prevedibile, la maggior parte degli articoli, e la maggioranza schiacciante delle risposte dei lettori, era negativa. Fummo accusati di ogni male immaginabile ci si potesse attribuire - violenza, aggressività, comportamento azzittente, perfino di elitismo e machismo sciovinista. Fu pubblicato un articolo di risposta da uno dei volontari alla CAG, che ci accusava di aver mentito nel racconto che avevamo fatto della storia (pubblicato da GoGay 2 settimane dopo l'incidente). Nessuno degli articoli discuteva della violenza contro di noi o delle responsabilità della CAG per l'esclusione e la violenza che avvennero. Le risposte dei lettori apparvero perfino peggiori, perché non solo ci accusavano di tutte queste cose, ma anche perché dicevano ad alta voce quello che i seriosi autori degli articoli pensavano ma non potevano permettersi di dire senza dimostrarsi bifobici: Perché i bisessuali insistono per avere un posto nella comunità? La bisessualità non esiste, i bisessuali non fanno parte della comunità, ed anche se ne facessero parte, le loro necessità sono già prese in carico dalla lotta per l'assimilazionismo gay - non esiste una bisessualità indipendente. Ancora, ed ancora, gli articoli e le risposte dei lettori tentavano di azzittirci, urgentemente e violentemente. [segue]

Nota 41/58

In Bisexual Politics: Theories, Queries and Visions (citato prima), Naomi Tucker dedica il libro a David Lourea ed altri, con le parole: “Con orgoglio, rabbia, sorellanza ed amore”.

lunedì 29 luglio 2013

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[precede] Nella mia testa, stavo ancora cadendo, cadendo, cadendo. Mi alzai dall'erba e strillai che Stonewall era un'azione illegale, che il primo Pride dopo Stonewall fu organizzato da una bisessuale, che senza di lei non saremmo stati qui quel giorno.

Il successivo momento che ricordo mi trova seduta sull'erba, lontana dal palco, sola e piangente. Le persone di quel gruppo di attivisti non erano miei amici, né persone a cui mi sentivo vicina. Ora li avevo persi e non avevo nessun altro. Tentai di guardare, ma non potevo fare un passo. Mi sentivo come moribonda. Mi sedetti e non tentai nemmeno di muovermi o di tentare di fermare le lacrime.

I bisessuali sono il gruppo basato sull'orientamento sessuale con maggior probabilità di soffrire di depressione (Ulrich, 2011, pp. 11–12, 14, 24), e questa tendenza non mi ha certo risparmiato. Ho passato molti anni della mia vita avendo a che fare con la depressione, cosa che con il tempo mi ha reso facile identificarla, ed imparare lentamente a trattarla. Quel momento mi insegnò molto. La depressione e la bifobia ci insegnano che siamo soli. Ci insegnano che siamo senza valore. Ci insegnano che meritiamo il dolore. E mentre io ero seduta lì piangendo, io capii che questo era quello che stava accadendo, e ricordai: due settimana prima, al MESS-e-BI, Lilach mi aveva dato l'unico abbraccio della serata. Poi, quando finì il party, noi avemmo una microconversazione sugli amici ed il sostegno, e potei dire che era una bella persona. Sapevo anche che, sebbene non fossimo vicine, e non ci fossimo inontrate per molto tempo, ci piacevamo a vicenda. Presi il mio telefono e la chiamai, chiedendole dove erano lei e gli altri.

Sembra che loro fossero andati proprio accanto al palco, stando stretti insieme con le persone del blocco transgender, che ci avevano anche prestato il megafono per farci protestare dalla folla. Sedetti lì con Lilach, e ricominciai a piangere, questa volta circondata da persone a cui importava di me. Lilach mi abbracciò da un lato, ed il mio amico (ancora non lo era) Aylam Bar-Shalom mise le sue braccia accanto a me dall'alro. Devo aver pianto per 20 minuti, mentre udivo gli ospiti sul palco che lodavano la 'buona atmosfera' e dicevano quanto era bello essere lì e vedere una marcia così inclusiva.

Questa fu la prima (e finora unica) volta che un'organizzazione LGBTQ in Israele ha esercitato la violenza fisica contro degli attivisti della comunità. Fu anche il momento in cui nacque il movimento bisessuale in Israele.

Terminati i discorsi, ci separammo, solo per riunirci al party DressUP tenuto nel centro di Gerusalemme appena dopo la marcia. Io ero a pezzi. Volevo andare a casa, ma non da sola. Finii col restare tutta la notte. Lilach rimase con me tutto il tempo, abbraccandomi e confortandomi. Stavo morendo di fame, e fui grata per il chiosco di cibo vegano che gli organizzatori avevano allestito sul balcone (e, poiché non avevo denaro in tasca, mi diedero anche il cibo gratis). Gli organizzatori del DressUP ci chiamarono sul palco, dove parlammo di quello che era accaduto, e dove infine ricevemmo il sostegno che ci aspettavamo dalla comunità. Quando penso a quella serata, tutto si mostra tinto di nero e grigio, [segue]

domenica 28 luglio 2013

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[precede] dopo mi fu detto che le persone con cui ero gli avevano strappato le mani di dosso a me.

Digressione. Proprio come la guardia giurata aveva ricevuto il suo addestramento in un contesto militare, così la mia risposta fu basata sul trauma militare, dacché avevo sofferto violenza prima per mano della polizia e dell'esercito. Val la pena notare che la violenza fisica ed altre sue forme sono cosa di routine per quanto riguarda i palestinesi (compresi quelli con cittadinanza israeliana). Molti palestinesi non hanno da fare altro che esercitare il loro diritto legale alla libertà di parola per trovarsi arrestati per mesi senza processo né liberazione, per accuse come terrorismo, attacco ai poliziotti (locuzione in codice per "brutalmente arrestati") ed altre accuse senza fondamento. In generale, la nozione accettata dai poliziotti ed i soldati israeliani è che ogni protesta - violenta e nonviolenta - contro l'occupazione israeliana costituisce un atto di terrorismo o sostegno al medesimo. Per quanto riguarda gli ebrei israeliani, viene loro risparmiata la detenzione, ma riceviamo comunque la nostra dose di brutalità nelle manifestazioni.

Mentre la guardia mi picchiava, con la mia testa andai al villaggio di Bil'in. Bil'in è uno dei tanti villaggi palestinesi che il muro di separazione israeliano ha separato dalle terre e dalle fonti di sussistenza della gente. È anche uno dei principali centri della lotta di solidarietà contro l'occupazione, che coinvolge attivisti palestinesi, israeliani ed internazionali. Da molti anni il villaggio continua ad ospitare manifestazioni nonviolente settimanali contro il muro di separazione, ogni venerdì pomeriggio. Queste manifestazioni vengono di routine disperse con forte violenza militare, che comprende l'uso di gas lacrimogeni, granate stordenti e pallottole di gomma. Molte persone sono state ferite ed alcune uccise nel corso degli anni dagli attacchi delle IOF [Nota 40] contro i manifestanti. Sono stata solo una vola a Bil'in, anni prima, nel 2006, e provai tutte queste cose che prima erano solo parole. L'esperienza di una violenza di un'intensità che non ti aspettavi è stata la stessa in ambo i casi. La violenza armata a cui fui esposta a Bil'in e di cui soffrii da parte delle IOF era certo più grave del semplice essere trascinata e presa a calci che avevo provato alla marcia del Pride di Gerusalemme; però per me il sottofondo era lo stesso. Era il tentativo violento di azzittire la resistenza, era la violenza diretta verso coloro che si rifiutano di tacere, era lo stesso dolore del tentare di uscire dal circolo di silenzio, violenza, oppressione e morte - e trovarsi davanti solo la stessa faccia di bronzo del sistema che aveva creato in primo luogo la necessità di protestare. Mi ci volle un mese per riprendermi completamente dal trauma di essere a Bil'in. E sebbene non lo sapessi allora, sul retropalco del Pride, mi ci sarebbe voluto un mese per riprendermi da quello che era accaduto a Gerusalemme.

Trovandomi seduta sull'erba, senza fiato e con le vertigini, disorientata e dolorante, mi guardai intorno confusa. I miei amici erano lì, che gridavano ai giornalisti che erano vicino al palco, che anche i bisessuali erano a Stonewall, che noi meritavamo un posto nella comunità. Mi ci vollero alcuni secondi per riorientarmi alle urla, alle videocamere, ed alla folla. [segue]

Nota 40/58

Israel Occupation Forces = Forze di Occupazione Israeliane (note anche come "IDF" o "Israel Defense Forces = Forze di Difesa Israeliane" [AR, EN, ES, FR, HE], anche qui secondo una tradizione orwelliana.

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[precede] del loro addestramento ed alle politiche di sicurezza militare in Israele (ovvero: violenza e brutalità, così come la profilatura razziale di palestinesi e mizrahi).

Saltammo la barriera. Il nostro piano era di occupare il backstage e rifiutarsi di andarsene finché non si fosse ricevuto il diritto a parlare. Il nostro piano si basava sulla protesta nonviolenta radicale, creando un conflitto senza nuocere a persone o beni, ed eravamo certi che saremmo stati ascoltati. Però, dal momento che noi saltammo la barriera, le guardie giurate ci furono addosso. Una guardia mi afferrò per le mani e mi trascinò sul viottolo asfaltato, facendo male alla mia caviglia in un modo che mi ci volle un mese per guarire, mentre un'altra guardia stava inseguendo i miei amici. Mentre venivo trascinata, chiamai le altre  persone del nostro gruppo, e vennero di corsa da me, evitando l'altra guardia ed intrecciando le loro braccia con le mie per impedire alla mia guardia di portarmi via. Ci sedemmo sull'erba, quindi, vicino al viottolo su cui ero stata trascinata, con le braccia ancora intrecciate, mentre il Presidente dell'Associazione GLBT Mike Hamel, che rappresentava la CAG, veniva a parlarci. Chiedemmo di essere ammessi al palco, di avere un minuto, anche 30 secondi, qualsiasi cosa pur di poter trasmettere il nostro messaggio. Hamel continuava a rifiutare, dicendo che era già troppo tardi, che la polizia avrebbe "chiuso baracca", che le nostre prospettive erano già coperte (ancora una volta) dagli oratori bianchi maschi cis e gay. Alle nostre obiezioni rispose che i violenti eravamo noi, e che eravamo noi coloro che cercavano di azzittire delle voci diverse, ignorando completamente la violenza fisica che era appena avvenuta, così come la violenza silenziosa del silenziamento e della cancellazione attuali e storiche delle voci bisessuali dalla comunità "LGBTQ".

In tutta questa confusione, non avevo notato che una di noi, Lilach, era sparita dalla vista. Ero troppo occupata a cercare di non farmi picchiare e poi di convincere la CAG a cedere, che proprio non avevo notato che Lilach se n'era andata altorve. E così, quando sentii la parola bisessuale pronunciata dal palco, fui colta da un sentimento improvviso, sorprendente e completamente surreale che avevamo vinto. Io mi alzai immediatamente e corsi alle scale che portavano al palco. Non udii quello che diceva Lilach, ma non appena raggiunsi il palco e salii le scale, la udii dire: "Fra poco mi porteranno via a forza."

E poi tutto tremò di nuovo. La stessa guardia che mi aveva afferrato prima ora stava balzando su di me e mi spingeva giù dalle scale, facendomi quasi cadere. Come arrivai all'erba, afferrò i miei polsi, piegando le mie braccia dietro la schiena. Ricordo di aver strillato per il dolore, cercando di sedermi sul terreno per impedirgli di trascinarmi ancora. Ricordo che lui mi diceva qualcosa, che solo più tardi gli amici dissero che era: "Questa si farà arrestare oggi." Tutto era veloce, lento e confuso. Le foto della scena mostrano Mike Hamel starsene in piedi inerte lì accanto mentre la guardia stava facendo quello che mi stava facendo. In quel momento, però, non sapevo quello che stava accadendo, certo non chi stava guardando. Tutto quello che sapevo allora erano dolore e sopravvivenza. Poi, in qualche modo, la guardia mi lasciò andare. Solo [segue]

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[precede] Subito dopo quella telefonata, chiamai la mia partner politica che aveva organizzato con me la prima MESS-e-BI, e che era salita sul palco ad Haifa la settimana prima. Le dissi che stavamo per trovarci di fronte ad una replica degli eventi della settimana scorsa e le dissi di prepararsi. Lei ed io poi chiedemmo ad altre persone di unirsi alla nostra azione, ed io inoltre avvertii la mailing list bisessuale che ci sarebbe stato un blocco bisessuale organizzato all'ultimo minuto alla marcia del Pride di Gerusalemme. Così nacque la nostra azione di protesta.

Prima che inizi a descrivere quello che è accaduto, devo rendere assai chiaro che quando io pensai di ripetere l'azione da Haifa, quello che mi aspettavo era lo stesso tipo di risposta dalla CAG che avevano ricevuto le due attivise dagli organizzatori della marcia del Pride di Haifa: mi aspettavo che saremmo andati lì, avremmo discusso con loro un po', facessimo un po' di pressioni e domande e poi ci fossero concessi alcuni minuti sul palco. L'idea che sarebbe potuto accadere quello che è poi in effetti accaduto non mi venne mai in mente, e quando successe, ha lasciato dei profondi solchi nella mia psiche. Ancor oggi, quello che accadde lì resta l'evento più traumatico della mia storia di attivista, così come il primo ed unico evento nella storia della comunità israeliana LGBTQ.

Prendendo l'autobus per Gerusalemme, ero stanca e tesa. Sebbene avessi preso la corsa organizzata dal gruppo LGBT dell'Università di Tel Aviv, non c'era nessuno che conoscessi, e mi sedetti sola, sentendomi impaurita, furiosa ed azzittita, tenendo stretta la mia bandiera bisessuale. Non potevo smettere di pensare a che avrei potuto dire quando salii sul palco, e pensavo che sarei certamente morta. Quando arrivai alla marcia, trovai il nostro piccolo gruppo di azione, che constava di cinque persone - che si sarebbe spezzato di nuovo nel blocco bi e nel blocco transgender, dacché due di noi rimasero nel blocco bisessuale, e tre marciarono come transgender. Il nostro blocco bi a Gerusalemme era ben più piccolo di quello a Tel Aviv, ma forse più visibile. Noi gridavamo slogan che avevamo inventato sul posto ed avevamo più bandiere bisessuali di quelle che avevamo nel blocco di Tel Aviv. Durante la marcia, io ero in qualche modo distratta dalla mia ansia, orgogliosa di far parte del blocco bi e sentendomi felice che la gente partecipasse.

Dopo la lunga camminata della marcia, noi finalmente arrivammo al Giardino dell'Indipendenza [mappa Google], dove c'era il palco per i discorsi. I discorsi e gli spettacoli erano già iniziati da tempo, ed avevamo paura di perdere l'impeto. Il palco era circondato da una barriera di sicurezza di plastica e c'erano delle guardie giurate (in ricordo delle pugnalate del 2005). È il caso di notare che le guardie giurate in Israele sono addestrate dalle forze armate. Infatti, le persone preferite per questo lavoro sono quelle che sono state addestrate al combattimento durante il servizio militare. Molte delle persone che trovano lavoro come guardie giurate sono state in unità combattenti durante il servizio di leva, così erano impegnate quotidianamente e molto esperte nelle varie forme di violenza inflitte dalle forze armate israeliane ai palestinesi. La CAG aveva assunto delle guardie giurate private; ma in Israele le compagnie di sicurezza privata fanno parte dello spettro del militarismo nella nostra società, fedeli alla fonte del [segue]

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[precede]

SETTIMA STORIA (2009): IL PRIDE DI GERUSALEMME


[Attenzione al trigger: questa storia (così come la successiva) contiene descrizioni di violenza che potrebbe esservi difficile leggere. Se sospettate che questo scateni ricordi dolorosi, o vi possa comunque mettere a disagio, vi prego di chiedervi se non sia il caso di leggere queste parti del testo in un luogo che vi sembra sicuro ed in cui potete trovare sostegno emotivo.]

Il 25 Giugno, il giorno della marcia del Pride di Gerusalemme (tenuta quell'anno per commemorare  i 40 anni di Stonewall), mi svegliai decidendo nuovamente che non avevo alcuna intenzione di partecipare. Avevo un esame quel giorno, e nei giorni precedenti non mi preoccupavo della marcia, ma dello studio. Però tutto  questo cambiò quando lessi le mie mail quel mattino, per scoprire che all'ultimo minuto la CAG aveva ceduto alla (mostruosa) pressione della comunità transgender ed aveva aggiunto un oratore transgender alla lista dei discorsi da tenersi sul palco.

La settimana prima, la marcia del Pride di Haifa c'era stata con un palco e dei discorsi che includevano una sola donna (un'etero nostra alleata) ed una moltitudine di uomini bianchi cis, gay ed etero. Per tutta risposta, due attiviste femministe, lesbche e bisessuali, chiesero il diritto di parlare dal palco, e dopo un po' di pressione e tanta insistenza fu dato loro il microfono per l'ultimo discorso. Loro parlarono cercando di rammentare alla gente le voci cancellate di donne, bisessuali, lesbiche e transgender, dei palestines e di tutte le altre voci emarginate della comunità. Cercarono di mettere in rilievo che il corteo del Pride doveva rappresentare e far risuonare le voci di tutti i gruppi nelle nostre comunità anziché una soltanto, e di far notare la distribuzione ineguale del potere, dello status e dell'agenda dentro e tra le nostre comunità.

Dopo il loro discorso, nella settimana precedente alla marcia del Pride di Gerusalemme, entrambe queste attiviste inviarono delle mail alla CAG per assicurarsi che la marcia del pride comprendesse un oratore bisessuale. La CAG rispose che era già troppo tardi, che i discorsi erano stati già decisi, che parlare era riservato ai capi delle organizzazioni, che che i bisessuali non avevano bisogno comunque di un discorso, dacché le nostre necessità sarebbero state coperte dalla moltitudine di (proprio così) uomini bianchi cis, gay ed etero.

Le scuse della CAG furono smentite quando lessi la mail del direttore della CAG Yonathan Gher alla mailing list trans.il, alle 10 del mattino, che affermava che all'ultimo minuto la CAG avrebbe permesso ad un oratore transgender di salire sul palco. All'oratore (non affiliato ad alcuna organizzazione) furono assegnati 3 minuti, provando così che erano possibili dei cambiamenti all'ultimo minuto, se li si voleva davvero. Alle 11 del mattino chiamai Gher, presentandomi come il capo dell'organizzazione bisessuale Panorama e chiedendo che alla comunità bisessuale fosse concesso un oratore. Se la CAG voleva solo capi di organizzazioni, gli dissi, ero più che disposta a parlare come tale io stessa. Spesi i primi 5 minuti della telefonata soltanto cercando di convincerlo ad ascoltarmi anziché riattaccare. E dopo che ebbi parlato, riattaccò comunque. [segue]

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[precede] finora, che attrasse dozzine e dozzine di persone. Iniziammo il party con una parola degli organizzatori, ricevendo un grande applauso quando demmo il benvenuto al primo party bi e pansessuale a Tel Aviv, ed invitammo la gente ad uniri a noi nel creare la nostra nuova comunità.

Fedeli alle nostre origini, gli spettacoli del MESS-e-Bi sottolineano una comprensione del drag come atto politico, non solo nel senso che sovverte i generi (Butler, 1991), ma anche come strumento per sollevare ed affrontare varie questioni politiche. Gli spettacoli, quindi, non servono mai solo per intrattenere, ma sono anche percepite come poste su uno spettro di attivismo politico. In questo modo, gli spettacoli del primo party erano tanti e diversi, dall'intrattenimento leggero all'orgoglio bisessuale, alla solidarietà LGBTQ ed alle questioni del femminismo. Durante gli intervalli tra gli spettacoli, i DJ suonavano musica, mentre alcune persone ballavano ed altri uscivano a socializzare. La serata terminò tardi, e ricevemmo molti complimenti per la meravigliosa serata, e ci fu chiesto quando era programmato il prossimo party.

Cinque ore dopo essere arrivata a casa, dovetti svegliarmi ed organizzare lo stand bisessuale all'happening del Pride, e poi il blocco bisessuale al corteo. I miei livelli di stress ed esaurimento giunsero al massimo quando mi recai al Parco Meir [mappa Google], dove si teneva l'happening. Lo stand bisessuale condivideva un tavolo con lo stand BDSM - un'intersezione opportuna, dacché il gruppo BDSM era organizzato dall'attivista bisessuale Pnina Moldovano, e dacché la mia amante, che era venuta ad aiutarmi nello stand, era interamente vestita con abbigliamento (vegano) BDSM. Io avevo una bandiera bisessuale, cucita apposta per me per il party bi e per il blocco bi/pan, che io sciorinai sul tavolo a mo' di tovaglia. Avevo portato anche dei nastri porpora gratis per la visibilità, e braccialetti bisessuali di cotone che avevo fatto all'uncinetto (da vendere). Avevo anche ricevuto una bandiera in più ed alcune spillette bisessuali da uno dei partecipanti del blocco transgender, che non ne avevano più bisogno. Inoltre, ricevei una montagna di adesivi bisessuali rimasti dagli anni precedenti da Daniell Hoffman, fondatore del defunto gruppo Bisessuali in Israele. Tutto questo, insieme con il grande striscione ricevuto dal centro LGBT, contribuì alla nostra visibilità, modesta ma importante nel corteo. Nel nostro blocco c'erano circa 10 persone (la maggior parte dei bisessuali che conoscevo avevano deciso di marciare con altri blocchi, "più importanti"), ma l'atmosfera era buona e le conseguenze storiche. Per quanto ne so, questo fu il primo blocco bisessuale nella storia dei cortei del Pride di Tel Aviv.

Mi ricordo che sono tornata a casa dal corteo, esaurita e dolorante, tanto stanca che non potevo nemmeno dormire. Giacevo sul letto con la mia amante, guardando il tramonto che dalla finestra tingeva la stanza del color dell'oro, sollevata che tutto fosse finito. Riconoscendo che nelle precedenti settimane mi ero mezzo ammazzata di stanchezza, decisi di non partecipare ad alcun altro evento del Pride o corteo quell'anno, e di concentrarmi sul riposo e sul recupero delle forze. [segue]

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[precede] però, quando Waizman guardò il foglio che aveva in mano per vedere che evento aveva 'mancato', lo lesse ad alta voce come "party bisessuale e fun-sessuale" (sbagliando a pronunciare "pansessuale" ["fun" in inglese vuol dire "divertimento" e si pronuncia pressappoco "fan"; l'involontario gioco di parole è nato perché nell'alfabeto ebraico i suoni "p" ed "f" si rendono con la medesima lettera. O conosci le parole, oppure commetti errori ancor più ridicoli di questo]). Questo mi mostrò quanto poco la gente sapeva (o gliene importava) della comunità bisessuale, ad onta di tutte le buone intenzioni che professava.

Trascorsi il resto del mese completamente stressata dal party e dal corteo, un tipo di stress che si sarebbe ripetuto molte volte l'anno successivo, e che era caratteristico del mio attivismo all'epoca. In quel momento, stavo lavorando praticamente da sola, prendendo le decisioni e facendo le cose io soltanto, in genere. Lo facevo perché ero sicura che non c'era nessun altro a farlo oltre a me, e che se non avessi fatto nulla, nulla sarebbe stato fatto (allora era una cosa per me inconcepibile, ed una cosa contro cui continuo a lottare). Ora vedo questo come un'eco dei sentimenti di isolamento che molte persone bisessuali sentono riguardo alla comunità ed anche riguardo all'attiviismo. Vedo questa come una questione politica influenzata dagli effetti dell'omofobia internalizzata, poiché parte degli effetti distruttivi della bifobia su tutti noi è creare una sconnessione ed una separazione tra noi (come bisessuali, come non etero, e come persone), lasciandoci isolati e soli, sovraccarichi di lavoro e rapidi a subire il burn out come attivisti. Inoltre, fare le cose da soli crea uno squilibri di potere, in quanto poche persone hanno il controllo dell'agenda, delle risorse e dell'organizzazione. In questi primi mesi lavorai da sola perché sentivo che non c'era nessun altro con cui lavorare (e per molti versi era vero). Questo mi lasciò stanca e creò una dinamica nella comunità bisessuale in cui, da una parte tutto il duro lavoro cadeva sulle mie spalle, e dall'altra parte gli altri erano strutturalmente impediti ad ottenere il potere.

Oggi mi rendo conto che il lavoro di attivista, per essere sostenibile dev'essere fatto insieme, creando gruppi e comunità in cui ci si aiuti a vicenda e si fornisca sostegno emotivo (e di altro genere). La solidarietà che sperimentiamo attraverso una lotta condivisa è anche un contrattacco alle strutture bifobiche della società che ci isolano l'uno dall'altro ed è un modo rivoluzionario di creare un'alternativa all'alienazione ed alla separazione della società mainstream. Il movimento dei disabili chiama questo "interdipendenza" e rimarca la necessità di collegamenti tra le persone come centrale per creare un attivismo sostenibile. Inoltre, usare questo genere di etica ci consente di sovvertire i valori sociali come l'individualismo ed il bastare a se stessi, che glorificano non solo l'isolamento, ma anche l'essere normoabile. Lavorando con un'etica di interdipendenza, la politica non è più qualcosa da lasciar 'fuori' dalle nostre relazioni e vite personali, l'attivismo non è solo qualcosa che noi 'facciamo', ma anche qualcosa che viviamo. Le nostre vite e le nostre relazioni hanno dei significati politici, e cambiare le nostre vite non è che un modo in più di combattere l'oppressione e suscitare la rivoluzione [Nota 39].

Il MESS-e-BI si tenne l'11 Giugno [2009], alla vigilia del corteo del Pride di Tel Aviv, e fu un enorme successo. Finora, il primo MESS-e-Bi è stato il più grande [segue]

Nota 39/58

Per saperne di più sull'interdipendenza e la sostenibilità, vedi Padamsee (2011).

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[precede] In quell'incontro feci personale esperienza di tutta questa struttura sociale. Il metodo usato per condurre l'incontro era 'aperto', un metodo che significa che chi parla più forte ottiene il permesso di parlare, ed un metodo per cui chi ha più autorità e privilegi riceve più opportunità di essere udito, nonché di avere le proprie opinioni rispettate ed ascoltate. Parlare è una questione politica. Quando parlano le persone di gruppi emarginati, la gente ci dà meno autorità e meno importanza. Le persone ascoltano meno e rispondono meno. Loro subito svalutano le nostre opinioni come marginali ed ignorano i nostri suggeriimenti. Come risultato di queste esperienze, noi impariamo che quello che abbiamo da dire è meno importante, val meno la pena notarlo, non è altrettanto intelligente e significativo di quello che gli altri hanno da dire. Internalizziamo questo trattamento che ci svaluta ed impariamo a svalutare in anticipo quello che abbiamo da dire. Quando parliamo, dobbiamo rassicurarci mille volte che questo è abbastanza importante da dire, che noi dobbiamo farci sentire. E quando parliamo, incontriamo un'altra volta questo trattamento che ci azzittisce. Questo è quello che significa essere una persona di un gruppo emarginato in ogni contesto che coinvolge persone di gruppi privilegiati, e vale per ogni tipo di emarginazione e privilegio presente, sia esso bisessuale/monosessuale, frocio/etero, transgender/cisgender, genere femminile/genere maschile, bianco/nero, disabile/normoabile, eccetera. Per contrastare questo costrutto, le persone dovrebbero essere consce dei loro privilegi rispetto alle persone dei gruppi emarginati, e fare attenzione allo spazio che ogni persona si prende nella conversazione. Le persone dei gruppi emarginati dovrebbero essere incoraggiate a parlare, e le persone con privilegi dovrebbero stare attente a non prendersi uno spazio sproporzionato nella discussione.

Ovviamente, nulla di questo fu riconosciuto od affrontato nell'incontro che frequentai. Stetti zitta e seduta per gran parte dell'incontro e guardai parlare le persone 'importanti', sentendomi come se non avessi nulla da dire, ed ancor meno opportunità di dirlo. Comunque, ad un certo punto, il 'padrone di casa' (il consigliere del sindaco sulle questioni gay, Yaniv Waizman) scorse tutto il programma del mese del Pride, leggendo ad alta voce i titoli e le descrizioni di ognuno dei party elencati - tutti i party, tranne quello bisessuale. Improvvisamente, c'era qualcosa di importante da dire. Aspettai che lui finisse di parlare, in modo da poter fare un commento sul party (e, magari, fare subito una sottile insinuazione sulla 'piccola' esclusione automatica che era avvenuta). Ma non appena iniziai a parlare, fui ignorata ed interrotta da un altro oratore, un uomo cis gay. L'uomo parlò per 10 minuti, dopodiché tentai di nuovo di parlare, ma fui interrotta di nuovo, questa volta da un'altra persona. Spesi i successivi 20 minuti tentando di parlare, ogni volta iniziando, venendo ignorata e poi interrotta da un'altra persona. Non lo si faceva certo apposta, ovviamente. In quella stanza non mi conosceva nessuno. Però l'intera situazione rendeva chiarissimo che io non ero una delle 'persone importanti' della stanza, non ero parte del gruppo dei capi, il cui compito è parlare ed essere ascoltati. Quando infine riuscii a parlare, le mie notizie del parti ricevettero risposta positiva; [segue]

sabato 27 luglio 2013

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[precede] etnica commessi ai danni dei palestinesi, così creando con successo una falsa immagine d'Israele come di un paese "liberale progressista occidentale", un faro di luce Bianca nella 'tenebra' del Medio Oriente. Così spuntò un nuovo tipo di propaganda - che si concentra sui limitati diritti dati ai (soli) gay e lesbiche ebrei in Israele, passando sopra alla grave oppressione compiuta dal governo israeliano contro i queer palestinesi (e tutto il popolo palestinese) e spazzando sotto il tappeto ogni voce di violenza anti-LGBTQ ed oppressione in Israele contro i queer ebrei. Ed il 2009 era l'anno in cui prese l'abbrivio il metodo del pinkwashing.

Il 2009 era il 100° anniversario della fondazione di Tel Aviv da parte di coloni ashkenaziti [Nota 38] su terra palestinese (compresa la città palestinese di Giaffa). L'intero anno fu marcato da varie celebrazioni organizzate dal Comune, che aveva inoltre rivendicato il corteo del Pride come parte della sua campagna di celebrazioni colonialistiche, dandole il titolo di "100 ragioni di orgoglio" (ovviamente, un titolo che neppure la parte più assimilazionista della comunità avrebbe  scelto). Il Comune impose il messaggio con l'aiuto della ricca azienda sponsorizzatrice responsabile della stampa degli striscioni - sotto il logo di ogni gruppo, era scritto lo slogan-riferimento "Una ragione d'orgoglo". Sfortunatamente, questo era anche il messaggio sullo striscione del nostro blocco bi.

Partecipare al mio primo incontro prepride al centro LGBT, organizzato dal rappresentante del Comune, fu per me un'esperienza alquanto negativa. Ero arrivata per vedere una stanza piena di gente proveniente dalle varie organizzazioni LGBTQ nella comunità, e guardare le facce di chi deteneva il potere. Di forse 40 persone (o più) che erano nella stanza, ero l'unica bisessuale dichiarata, una dei due transgender dichiarati nella stanza, una dei tre Mizrahi nella stanza, ed una delle dieci persone che si identificavano come donne. Per legare tutto questo insieme, ero certamente l'unica persona presente femmina, mizrahi, genderqueer bisessuale. Ognuno di questi fattori mi avrebbe messo in uno status ed un potere inferiore, in una stanza piena di uomini cis gay ashkenaziti - tutti questi messi insieme avevano fatto di me una delle persone più emarginate della stanza. Non lo scrivo per lamentarmene o per fare la vittima, ma per mettere in evidenza la struttura di potere all'interno della comunità. Il più delle volte la comunità è retta e rappresentata da persone che sono benefattori ["benefactors"; probabilmente voleva dire "beneficiaries = beneficiari"] di un privilegio nella società. Quelli che hanno il potere nella comunità LGBTQ sono gli stessi che lo avrebbero nella società 'generale' se non fosse per la loro unica deviazione dallo standard - la loro omosessualtà. Perciò l'agenda che viene spesso presentata come l'agenda "LGBTQ", o la lotta "LGBTQ" per i diritti, riflette invece gli interessi di questo ristretto gruppo di persone, per le quali l'unica barriera che impedisce loro di vivere le loro vite normali e privilegiate è la loro impossibilità di sposarsi o di sfruttare legalmente i corpi delle donne brune [fino a poco tempo fa, soprattutto dell'India - Israele consente la genitorialità surrogata, ma non agli omosessuali, che perciò vanno all'estero a realizzare il loro sogno] e povere per generare figli ed allevare famiglie normative (ovvero, "surrogazione" ed "adozione"). Certo, quando hai cibo nel piatto e la pancia piena, puoi anche preoccuparti di 'cose più importanti'. [segue]

Nota 38/58

Ebrei europei/bianchi. [Ad essere più precisi, sono gli ebrei che seguono una tradizione che, prima delle grandi migrazioni della fine del 19° Secolo, si estendeva grosso modo dalla Francia settentrionale alla Russia, passando per la Germania, la Polonia e le terre dell’ex-Impero Austro-Ungarico; in Italia ashkenazite sono le comunità di Verona  e Merano. È vero però che hanno costituito l’élite politica e culturale dello Stato d’Israele, ed emarginato gli ebrei di altre origini, come i Mizrahi a cui appartiene Shiri Eisner.]

Pagina 24/57

[precede] i fondi per organizzare la parata annuale, un problema che portò al rilevamento del corteo del Pride da parte del Comune di Tel Aviv.

Nel 1998 io ero una studentessa liceale della 10^ classe, molto appassionata di quelli che allora pensavo fossero i “diritti gay e lesbici”. Non avevo idea che questi cortei che frequentavo negli anni tra il 1998 ed il 2000 erano i primi ufficiali in Israele, sapevo solo che per me era importante esserci. Ma questa non fu una scelta facile. Anche quando era ancora l’Associazione GLBT la responsabile del corteo, esso era diventato insopportabile. Primo va ricordato che Giugno a Tel Aviv è caldo, caldissimo. Marciare per le strade nel pomeriggio non è cosa dappoco per nessuno; però è una cosa che io e molti altri siamo disposti a sopportare, se lo scopo è importante. Però il problema vero per me era la struttura della parata – una carovana di camion che suonavano musica a tutto volume e facevano pubblicità a vari sponsor commerciali, riducendo al silenzio i suoni dei blocchiLGBT veri e propri; i vari funzionari (etero) della città sul palco che non facevano che massaggiarsi l’io per delle ore; e nessuno chiaro messaggio politico se non quello di una festa consumistica – non è mai stata la mia idea di una manifestazione per chiedere un cambiamento sociale. Sentivo che il corteo era vacuo, fatuo e piatto. Scoprii che ogni anno partecipavo per principio, ma sentivo che esserci non significava assolutamente nulla. Alla fine, smisi di andarci (e non senza sensi di colpa).

Ora, se il corteo era commercializzato e fatuo sotto la responsabilità dell’Associazione GLBT, sotto quella del Comune lo divenne ancor più. Nel corso degli anni i camion divennero sempre più ingombranti, gli sponsor più grandi, ed il messaggio politico sempre più diluito. Ora che era il Comune di Tel Aviv il responsabile della parata, ora il Comune ed i suoi funzionari determinavano i messaggi, l’agenda ed il contenuto del corteo stesso. I Comuni, ovviamente, per loro natura non sono interessati alla resistenza – una resistenza all’LGBT-fobia [Nota 36] ed una richiesta di liberazione sarebbe naturalmente una minaccia alla struttura di governo della città e dello stato. Inoltre, un corteo del Pride come dimostrazione avrebbe sicuramente fatto scappare gli sponsor e tolto un’opportunità per la comunità di essere dei bravi consumisti nel sistema capitalistico. Il Comune perciò scelse di dare ancor più rilievo al ‘party’, al consumismo ed alle parti fatue del corteo, e di trascurare per gran convenienza i messaggi politici, la protesta e la resistenza, presentando l’illusione di una comunità Gay, Gay, Gay e Gay (GGGG) [Nota 37] felicemente unita, e calpestando con piacere le preoccupazioni e le necessità di praticamente tutte le popolazioni emarginate raggruppate nella sigla LGBTQ.

Nel corso degli anni, il Comune, insieme con il governo israeliano, ha trovato anche un altro uso del corteo del Pride a Tel Aviv – il pinkwashing. Il Ministero del Turismo, insieme con il Comune di Tel Aviv, ha scoperto che mettendo in risalto l’atteggiamento ‘tollerante’ d’Israele verso i GGGG, e presentando Tel Aviv come il paradiso ‘gay-friendly’ nel ‘barbaro’ ed ‘omofobo’ Medio Oriente arabo, loro potevano distrarre l’attenzione dai crimini di guerra d’Israele, dal genocidio e dalla pulizia [segue]

Nota 37/58

È un’espressione usata dalla comunità queer radicale in Israele come metodo per esporre la distribuzione materiale e simbolica delle risorse e del potere all’interno della comunità LGBTQ. [Valida anche in Italia].

Nota 36/58

Scrivo LGBT-fobia anziché il più popolare omofobia dacché contesto l’assunto che il termine omofobia copra anche la bifobia, la lesbofobia e la transfobia. Sento che questo stesso assunto costituisce una cancellazione delle caratteristiche specifiche di oppressione esperite da ognuno di questi gruppi. [Devo aggiungere che, come potete vedere, mentre per l'omofobia ho trovato una passabile definizione nell'edizione italiana di Wikipedia, per la bifobia, la lesbofobia e la transfobia sono dovuto passare all'edizione in lingua inglese].

Pagina 23/57

[precede] Un'altra cosa che avvenne più o meno in quell'epoca fu la creazione di una mailing list nazionale bisessuale e pansessuale per la comunità in Israele. Fino al Maggio 2009 tutte le discussioni sulla bisessualità e tutti gli inviti ad eventi bisessuali normalmente venivano fatte circolare sulla mailing list dei transgender (trans.il). Questo continuò finché alcuni membri di trans.il cominciarono a lamentarsi che i bisessuali stavano impadronendosi della lista. Un giorno ricevei una mail di un membro transgender panessuale della lista trans.il, che mi suggeriva di creare una nuova lista per discutere degli argomenti bisessuali. Una volta fondata la lista, iniziò a crescere in modo esponenziale, e dopo solo un weekend 50 persone si erano già registrate, e c'erano delle vivaci discussioni sulla comunità bisessuale, i nostri scopi ed il futuro dell'attivismo bisessuale. Ora [2012] la lista ha quasi 3 anni, ha più di 250 iscritti, ed è usata come la piattaforma principale per l'organizzazione degli attivisti bisessuali in Israele.

A quell'epoca avvenne pure la fondazione della nostra nuova organizzazione bisessuale/pansessuale. Era verso la fine di Aprile, ed avevo deciso di organizzare un blocco bisessuale/pansessuale al corteo del Pride di Tel Aviv. Quando ne parlai con il responsabile, egli mi informò che una grande azienda aveva deciso di donare del denaro per stampare gli striscioni per i vari gruppi del corteo (in cambio, occorreva stampare il logo della compagnia sul retro dello striscione, ricevendo così pubblicità gratuita con il beneficio in termini di pubbliche relazioni di essere un 'donatore'). Quest'azienda, però, aveva posto una condizione, cioè che gli striscioni dovevano essere stampati solo per i gruppi più vecchi e consolidati. In pratica, questo significava che per consentire al responsabile di far passare il nostro gruppo bi da ben consolidato, dovevo escogitare un nome, disegnare un logo e mandarglielo. Tornata a casa, mi collegai ad Internet e cominciai a parlare ad un mio amico, e gli chiesi se aveva delle idee creative per un nome. Il nome che gli venne in mente fu "Panorama", che corrispondeva a "pansessuale", e dava inoltre il senso di un'ampia gamma di identità.

Così avevo notificato agli organizzatori del corteo del Pride, che il nome del gruppo bisessuale sarebbe stato Panorama - comunità bi e pansessuale. Sulle prime, pensavo davvero che il nome non sarebbe stato altro che quello - un nome. Ma presto vidi che aveva preso una vita autonoma. Panorama presto divenne non solo un nome, ma anche una rappresentazione, un'ideologia ed una comunità di attivisti. Prestissimo cominciammo a discutere ed a dibattere sugli scopi e sull'agenda dell'organizzazione. Però questo venne dopo ... per adesso, Panorama era un nome su uno striscione da stampare per il corteo.

Il nome dell'organizzazione, così come il fatto che stavo organizzando il blocco bisessuale/pansessuale, mi fece anche 'vincere' il biglietto d'ingresso per la cerchia interna e semisegreta del meccanismo di creazione delle decisioni nella comunità LGBT di Tel Aviv. Per la prima volta, fui invitata ad un incontro di preparazione al corteo del Pride, riservato ai capi delle organizzazioni nella comunità.

Qui ci vuole una digressione. Il corteo del Pride di Tel Aviv si svolge ufficialmente dal 1998 (con dei precedenti sin dal 1987), e fino al 2006 era stato organizzato dall'Associazione GLBT. Nel 2006 all'Associazione mancarono [segue]

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  • etero,
  • transgender,
  • genderqueer,
  • intersessuati,
  • camioniste [butch],
  • femmine [femme],
  • BDSM [Nota 34],
  • poliamorosi,
  • alleati,
  • partner ed amici,
  • [Nota 35]

Il party era decisamente non profit e finanziariamente accessibile. L’accessibilità finanziaria era particolarmente importante per noi, dacché eravamo consci che molte persone nella nostra comunità (come in ogni comunità emarginata) non erano in grado di pagare l’alto prezzo di molti party ‘normali’, orientati al profitto. È il caso di notare qui che, come ho menzionato sopra, si è trovato che statisticamente è più probabile che i bisessuali soffrano della povertà dei maschi gay, delle lesbiche o degli eterosessuali (Ulrich, 2011, p. 27). Comunque, a prescindere da questo fatto – la comunità bisessuale (in Israele ed altrove) include persone di molti altri gruppi emarginati, tra cui donne, trans gender, persone di colore, disabili, proletari, giovani, e molte altre popolazioni per cui il denaro potrebbe essere un problema. Perciò decidemmo di avere tre livelli di prezzo per il party: un prezzo normale di 30 Sheqel (circa 8,50 Dollari USA [circa 6 Euro]), un prezzo scontato di 25 Sheqel (circa 7 Dollari USA [circa 5 Euro]) ed un “paga quello che puoi” per chi non aveva i soldi per pagare neppure quello. I nostri inviti precisano chiaramente e sempre: “Nessuno è lasciato fuori per mancanza di soldi”. Inoltre, decidemmo di tenere il party di giovedì (e non di venerdì, secondo tradizione) per essere sicuri che le persone potessero arrivare e ripartire con il trasporto pubblico. I proventi del parti dovevano essere divisi tra i performer, i DJ, gli organizzatori, e chiunque altro avesse dato una mano.

Un altro aspetto importante per noi fu la sicurezza sessuale al party, e l’importanza di creare uno spazio con la consapevolezza del sessismo e della transfobia. Eravamo consci che le molestie sessuali (e di genere) sono presenti ovunque, e sebbene non ci sia modo di evitarle del tutto, ci sono comunque molti modi di fare emergere il problema ed affrontarlo. A questo scopo, decidemmo di includere un gruppo responsabile per i casi di molestia sessuale al party, ed inoltre, leggemmo ad alta voce alcune linee guida sul consenso all’inizio del part (e continuiamo a farlo ad ogni party). Chiedemmo alle persone di non toccare nessun’altra senza aver prima chiesto il permesso; chiedemmo di essere consapevoli del limite tra il guardare ed il fissare – e di osservarlo; menzionammo che non tutti usano il pronome che può sembrare ovvio, e che è bene chiedere prima (un punto molto significativo in ebraico, perché in quella lingua [come in arabo] i pronomi di seconda persona hanno forme maschili e femminili [ed usare quei pronomi significa attribuire un genere all’interlocutore, rischiando di sbagliare ed offenderlo]), chiedemmo alle persone di non fotografarne altre senza permesso, e con più forza chiedemmo alle persone di essere consapevoli che non è detto che tutti al party siano bisessuali, e perciò non è detto che tutti apprezzino l’essere abbordati o corteggiati da persone di ogni genere.

Facemmo pubblicità al party ovunque, online e offline, comparendo pure sul calendario ufficiale del mese del Pride pubblicato dal Comune di Tel Aviv. Eravamo molto eccitati – questo era il secondo party bisessuale in assoluto in Israele (preceduto da un party organizzato dal vecchio gruppo bisessuale della CAG nel 2006 a Gerusalemme – quel gruppo nel 2009 si era già disperso), il primo a Tel Aviv, e certo il primo a ricevere tanta attenzione. Stavamo facendo la storia. [segue]

Nota 35/58

Ora mi rendo conto di aver omesso gli asessuali, un’esclusione tipica del discorso LGBT e simile per natura a quella dei bisessuali. Per saperne di più sul collegamento tra asessualità e movimento queer, vedi Miller (2010).

Nota 34/58

BDSM sta per un’ampia gamma di preferenze e pratiche erotico-sessuali centrate sul Bondage [essere legati], Domination [dominare], Submission [assoggettarsi], Sadism [sadismo] e Masochism [masochismo]. Per saperne di più sul BDSM e la sua politica, vedi Califia (2000).

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[precede] è uno dei tanti elementi che simbolizzano il legame della comunità bisessuale alle varie forme di politica e comunità radicali in Israele.

SESTA STORIA (2009): IL MESE DEL PRIDE A TEL AVIV


Verso l'Aprile del 2009 avevo pubblicato un articolo su GoGay (uno dei tanti dell'epoca) con dei consigli agli LGT su come essere dei buoni alleati dei bisessuali. A seguito dell'articolo, mi sono trovata a parlare con una mia partner politica, cercando di trovare dei modi per aumentare la visibilità bisessuale ed incoraggiare ulteriormente la formazione di una comunità bisessuale. Ancora una volta, la comunità transgender ci è servita come fonte diretta di ispirazione, facendoci ereditare le sue tecniche di costruzione di una comunità dal basso. "E se organizzassimo un party bisessuale?", mi scrisse in una mail, "I party fanno meraviglie per la visibilità: sono divertenti, positivi, ed hanno dato enormi contributi alla comunità transgender/queer". Pertanto, decidemmo di organizzare un party dell'orgoglio bisessuale per il mese del Pride di Tel Aviv.

Chiamammo il party MESS-e-BI (pronuncia mess-i-bi, letteralmente significa: "party bi" [gioco di parole tra l'inglese "mess = porzione di cibo, disordine" e l'ebraico "me-si-bah = party" - isolare la sillaba "bi" ha certo giovato]) e lo organizzammo per la notte del corteo del Pride di Tel Aviv. Sapevamo che non sarebbe stato un evento unico, ma un appuntamento regolare notturno, e perciò ci impegnammo tanto. Il nostro modello per il party sarebbe stato quello dei party queer e transgender, con musica e danza, insieme con degli spettacoli in drag fatti dai membri della comunità. Il significato degli spettacoli in drag per noi era offrire alla comunità uno spazio in cui essere creativi, mentre creavano un unico stile di spettacolo per i party della comunità bisessuale. Inoltre, anche il collegamento che questo manifestava con le sottoculture queer e transgender era importante per noi, dacché ci vedevamo (e continuiamo a vederci) come parte di queste comunità ed abbracciamo queste storie come nostre (riconoscendo che i bisessuali ne hanno sempre fatto comunque parte). Invitammo dei DJ e degli attori in drag che conoscevamo da altre notti "normali", come il DressUp di Tel Aviv e Gevald! di Gerusalemme. Poiché era il nostro primo party, la maggior parte degli attori non erano a dire il vero bisessuali (perché all'epoca non c'era una comunità sufficiente per estrarne queste persone), però molti degli spettacoli si concentrarono sull'argomento bisessualità

Volevamo che tutti si sentissero i benvenuti al party. Come bisessuali, eravamo fin troppo abituati alla dolorosa realtà della cancellazione e dell'esclusione bisessuale, così come con il sentimento di non essere mai nominati e non essere perciò mai davvero invitati ai party ed agli eventi queer. Come metodo per garantire che le persone di tutti gli orientamenti sessuali ed identità di genere si sentissero benvenuti ed invitati, noi scrivemmo esplicitamente che il party era aperto alle persone di tutti i sessi, generi ed orientamenti. Inoltre, noi includemmo una lunga "lista della spesa" di identità sessuali e di genere, compresi:

  • bisessuali,
  • pansessuali,
  • onnisessuali,
  • bi-curiosi,
  • che si interrogano,
  • senza etichetta,
  • lesbiche a cui piacciono i ragazzi,
  • gay a cui piacciono le ragazze,
  • queer,
  • lesbiche,
  • gay,
[segue]

venerdì 26 luglio 2013

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QUINTA STORIA (2008 – 2011): I “B-MOVIES”

[gioco di parole tra “film di serie B” e “film per Bi(sessuali)”]

Quando stavo ancora frequentando il gruppo biessuale, alcune persone proposero che noi dedicassimo alcuni degli incontri del gruppo a vedere dei film insieme. L’idea mi piacque – è incredibilmente facile organizzare delle proiezioni di film – ed essendo io una studentessa di filmologia, questo era per me un campo naturale. Ero andata in cerca di modi di espandere gli eventi, accrescere la formazione della comunità e la visibilità della comunità bisessuale, e perciò l’idea di formare un club del cinema bisessuale mi sembrò importante e divertente. Contattai il centro LGBT e suggerii di iniziare un club del cinema bisessuale con incontri mensili.

Uso la parola suggerii, anche se in pratica era più simile a richiesi. Il ‘nostro’ centro LGBT sembra spesso che pensi che consentendoci di organizzare delle attività per loro, ci stia in realtà facendo un favore. In realtà, a quel punto avevo tanto internalizzato l’esclusione dei bisessuali da qualsiasi cosa fosse LGBT che ero davvero convinta che loro ci facevano un favore consentendoci di usare il “loro” spazio. Negli anni successivi questo trattamento si ripetè, dacché il centro si rifiutò di farci lo sconto (ad onta della politica da loro professata di fare lo sconto per gli eventi diretti a comunità emarginate, e ad onta della lamentela di molte persone di non potersi permettere il biglietto d’ingresso), ed il centro continuava a spostarci da una stanza all’altra, spostando e talvolta pure cancellando le nostre riunioni, tutto a seconda delle loro esigenze. Nel nostro secondo anno il centro aveva unilateralmente deciso di spostare il giorno del club da Giovedì a Domenica, facendo perdere al club il suo gruppo di frequentatori regolari e mandandolo in coma per un anno.

Ciononostante, durante il suo primo anno di attività, il club era diventato uno spazio per il gruppo bisessuale  alternativo per coloro che si sentivano a disagio con il gruppo sociale/di sostegno bisessuale. Lo spazio nel club (che chiamammo “B-Movies”) era decisamente femminista e trans-inclusivo. Le persone che si facevano vive erano proprio il tipo di persone che sentivo che mancavano all’altro gruppo: donne, trans, femministe e radicali. Ora io vedo il club come un altro seme da cui è germogliata quella che ora è la comunità bisessuale. Alcune delle persone del primo gruppo B-Movies sarebbero state poi tra i fondatori della nostra organizzazione bisessuale Panorama, e tra gli istigatori di una nuova ondata di attivismo bisessuale.

Il club è tuttora attivo, si riunisce ogni primo mercoledì del mese, dopo essersi trasferito l’anno scorso (il terzo della sua esistenza) al locale bar anarchico/queer/vegano, il Rogatka (sito web; mappa Google), e divenendo poi un evento ad ingresso libero. Il Rogatka è un club non-profit gestito da un collettivo volontario anarchico allo scopo di fornire uno spazio comunitario e risorse comunitarie, generalmente ospitando eventi politici radicali, feste queer/transgender, spettacoli punk e seminari ed eventi vegani. Attualmente, tutte le attività della comunità bisessuale, salvo il gruppo sociale/di sostegno al centro LGBT, sono tenute qui. La scelta del posto, ovviamente, non è una coincidenza, ed [segue]

giovedì 25 luglio 2013

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[precede] stessa cosa per noi – anche noi abbiamo dei bisogni, anche noi subiamo l’oppressione, anche noi abbiamo bisogno di uno spazio per parlare, per ricevere informazioni e sostegno, e fare cultura. Una volta che ci facciamo sentire, una volta che ci vediamo come sono – allora altri sicuramente ci seguiranno. (Eisner, 2008) [L'articolo in ebraico si può leggere qui].
Io metto in evidenza questo brano non solo perché si trattava del mio primo appello per un nuovo movimento bisessuale israeliano, ma anche perché avevo menzionato la comunità transgender come la fonte d’ispirazione per la futura comunità bisessuale che avevo in mente. La ragione per cui questo conta è che in Israele la comunità bisessuale è venuta fuori dalla comunità transgender, ereditandone molti tratti, metodi attivistici, pensiero e linguaggio. Inoltre, in Israele la comunità bisesuale fu fondata, ed è tuttora guidata, da persone genderqueer e trans gender, che alla base incorporano una prospettiva non binaria, deviante dal punto di vista del genere, e femminista. Lo trovo un punto di particolare forza del movimento bisessuale in Israele, in quanto sovverte gran parte del problematico discorso ispirato al binarismo di genere ed il tokenism [designare dei rappresentanti di una minoranza che salvano la faccia alla maggioranza ma politicamente non contano affatto, NdT] auto-incensante delle persone transgender di cui soffrono molte comunità bisessuali negli USA ed in Europa, e creano una piattaforma davvero radicale per ripensare il sesso, il genere e la sessualità. Senza decostruire i binarismi di sesso e genere, non potremo mai decostruire il binarismo dell’orientamento sessuale. Se lo scopo del movimento bisessuale è trasformare la società e farla finita con i binarismi sessuali gerarchici, la prima cosa da fare è demolire il sistema sesso-genere-sessualità [Nota 32] e ricreare qualcosa di nuovo, partendo da zero [Nota 33].

Terminai l’articolo menzionando il nuovo gruppo bisessuale al centro LGBT ed invitando la gente a frequentarlo. A quell’epoca, pensavo che l’esistenza del gruppo fosse importante ed essenziale per suscitare la consapevolezza della bisessualità e creare una comunità politica ed un attivismo politico bisessuale. Continuai, per molti mesi, con i miei sforzi per fare pubblicità al gruppo e far venire nuova gente, pensando che l’unico motivo per cui non venivano fosse la cancellazione bisessuale, insieme con la mancanza di consapevolezza. Però, allo stesso tempo, mi sentivo sempre più a disagio in quel gruppo, sentendo quello che esperivo come sessismo e cissessismo. Il gruppo continuava ad essere uno spazio dominato da maschi cisgender, e sentivo una pressione sempre più forte ad essere l’educatore del gruppo su queste questioni. Inoltre, le persone del gruppo sembravano renitenti e riluttanti a fare dell’attivismo bisessuale, ed i miei tentativi di spingere a questo non incontravano molto di più dell’apprezzamento per i miei sforzi. Anche se questo mi procurò il rispetto di alcuni membri del gruppo, questo mi esauriva parecchio, ed alla fine mi trovai a frequentare il gruppo sempre meno, e solo per senso del dovere verso un’oscura esistenza bisessuale provata dall’esistenza del gruppo. Alla fine, mi resi conto che il gruppo aveva smesso di funzionare per me e smisi di frequentarlo. Ma il gruppo è tuttora attivo e rimane l’attività bisessuale da più tempo in funzione in Israele. [segue]

Nota 33/58

Per saperne di più sulle prospettive radicali transgender sul sesso e sul genere, vedi Bauer (2010).

Nota 32/58

Per saperne di più sul potenziale distruttivo della bisessualità contro questo sistema, vedi Callis (2009).

mercoledì 24 luglio 2013

Pagina 18/57

[precede] per invitare le persone al gruppo. Ero piena di speranza e motivazione, ed avevo trovato in me una nuova passione.

Ripensandoci, fu quello probabilmente il momento in cui scattarono le cose. Mentre disegnavo e stampavo il volantino, compresi che in tutti i miei anni di attivismo queer, non avevo mai pensato di mettere insieme queste due cose: la mia bisessualità ed il mio attivismo. Sebbene io avessi delle qualità come attivista e stessi mettendo energia nelle questioni queer, e sebbene io avessi sempre pensato alla cancellazione bisessuale e ne fossi disturbata, sebbene io avessi sempre sentito la necessità di una comunità politica bisessuale - non avevo mai pensato a collegare le due cose. Era come se proprio non fosse possibile sceglierlo, come se non fosse nemmeno una questione da sollevare e poi respingere - semplicemente non esisteva. Come cominciai a lavorare sul volantino, io potei identificare questa non-scelta virtuale come [una forma di] omofobia internalizzata. La cancellazione bisessuale era così profonda nella mia mente - e nelle menti dei miei compagni attivisti (bisessuali) - che proprio non avevamo capito che questo era un argomento su cui potevamo davvero lavorare. La marginalità dell'importanza delle questioni bisessuali era inoltre profondamente inserita in noi - ci sembrava sempre che ci fosse sempre qualcosa 'di più importante' da fare.

Ora capisco che la lotta contro la bifobia, come struttura sociale, è una lotta per le nostre vite, una lotta per la nostra sopravvivenza e per la nostra letterale esistenza. In un mondo in cui i bisessuali si tolgono la vita, si ammalano, perdono la loro casa, la loro famiglia, i loro amici, le loro comunità, il loro sostegno, il loro lavoro, il loro denaro, la loro istruzione. In un mondo in cui le persone vengono aggredite, picchiate, uccise, stuprate ed ancor peggio, e peggio ancora, tutto a causa della bifobia [Nota 28] - in un mondo dominato dalle strutture del monosessismo [Nota 29], cissessismo, eterosessismo, sessismo, razzismo, classismo, specismo, nazionalismo, militarismo, e  molte altri -ismi che colpiscono direttamente le vite dei bisessuali - in un mondo come questo, combattere la battaglia contro la bifobia ed il monosessismo - ed ogni -ismo sulla Terra che è loro legato - non è solo necessario, ma anche essenziale.

All'epoca, non conoscevo tutte queste statistiche dell'orrore. Eppure, la comprensione che la lotta bisessuale era una lotta per me stessa, per la mia stessa vita, e per le vite di molti altri bisessuali, ora si era radicata ella mia mente. Questa comprensione ha da allora guidato ogni mia azione nell'attivismo bisessuale e probabilmente continuerà a farlo per il resto della mia vita.

Un'altra cosa che cominciai a fare allora fu scrivere. Avevo pubblicato il mio primo articolo su GoGay sulla cancellazione bisessuale il 19 Novembre 2008, articolo in cui scrissi su diversi esempi di cancellazione bisessuale che avevo visto nella comunità radicale queer/femminista. Alla fine dell'articolo, chiedevo a tutte le persone dello spettro bisessuale [Nota 30] di unirsi e creare una comunità politica ed attivarsi per sovvertire la cancellazione bisessuale all'interno della comunità LGBTQ [Nota 31].  Scrissi:
Negli ultimi due anni è nata una comunità transgender, che prima non esisteva - una comunità attiva, politica e creativa, che affronta dei problemi importanti mai affrontati prima. Facciamo la [segue]


Nota 31/58

Mi rendo ora conto che l'immensa maggioranza della cancellazione bisessuale è in realtà operata dalle strutture eteropatriarcali dominanti, e trovo la concentrazione quasi esclusiva sulla cancellazione bisessuale ad opera degli LGBTQ assai problematica e maldiretta.

Nota 30/58

Lo spettro bisessuale si riferisce ad un'ampia gamma di identità, la cui caratteristica comune è l'attrazione verso persone di più di un sesso e/o genere, e tra esse ci sono:
  • bisessualità
  • pansessualità
  • onnisessualità
  • polisessualità
  • bi-curiosità
  • che si interroga [questioning]
  • senza etichetta [unlabeled]
  • sessualità queer
  • sessualità fluida
  • omoflessibilità
  • eteroflessibilità
  • ... e molte altre.


Nota 29/58

Il monosessismo è il presupposto sociale che ognuno sia o debba essere monosessuale (attratto dai membri di un solo genere), ed il sistema di punizioni che opera contro chi lo trasgredisce.

Nota 28/58

Su tutto questo le ricerche sono molto molto insufficienti, grazie appunto al sistema di bifobia che perpetua questi orrori. Comunque, per dei dati su alcuni di questi problemi, vi prego di vedere Ulrich (2011) e Miller, Andre, Ebin e Bessonova (2007).

Pagina 17/57

[precede] dei gruppi bisessuali occidentali e della loro politica, continuo (dolorosamente) a ricordare le ragioni per cui la gente vuole disconoscere il movimento ed assumere una diversa identità. Per quanto riguarda la stessa parola bisessuale, io ora penso che sia una parola molto potente con molti significati politici radicali, che possono essere usati come base epistemologica per la decostruzione di molte gerarchie - nel discorso e nell'attivismo [Nota 25].

Un altro errore che ora vorrei correggere - l'ho scoperto solo leggendo un altro saggio nel libro dopo aver ricevuto la mia copia [presumibilmente dell'edizione del 2009, in cui appare anche il testo di Shiri Eisner, NdT] - un testo di Richard M. Juang (2009). Richard parlava delle persone razzializzate [Nota 26] e delle nostre famiglie d'origine, di come impariamo a vergognarci delle nostre famiglie e ad enfatizzare la distanza dalle nostre culture d'origine come prova e fondamento della nostra 'queerness = identità non etero'. Egli procedeva quindi fornendoci una narrazione alternativa, descrivendo come la sua famiglia ed il suo spazio familiare abbiano contribuito allo sviluppo delle sue identità bisessuali e genderqueer. Mi sono identificata con il saggio per tutti  questi tre motivi - in quanto bisessuale, genderqueer e razzializzata. Dopo averlo letto, io capii di aver commesso lo stesso errore di cui Richard parlava nel suo saggio: scrissi della mia famiglia mizrahi come uno spazio conservatore, limitante, 'arretrato'. Questo era il mio tentativo di strappare Israele dalle opinioni orientaliste, scrivendo che "non tutte le famiglie" in Israele erano "come la mia". Però ora capisco che attraverso questo tentativo stavo soltanto rinforzando proprio quegli atteggiamenti verso gli israeliani razzializzati - in questo caso, le donne mizrahi della mia famiglia (che sono [invece] assertive, fiere e belle).

Ho scritto anche della mia identità, del luogo in cui vivo, e della comunità transgender in cui ero allora di casa. Parlai della solitudine, dell'isolamento e dell'oppressione. Terminai il saggio con le parole: "Voglio andarmene via da tutto questo. Voglio creare qualcosa di nuovo. Non so che cosa. Potreste aiutarmi?" Questa fu la mia invocazione di un nuovo tipo di attivismo. Di un nuovo tipo di comunità. Da quel momento in avanti cominciai ad assimilare lentamente questa nozione, facendo pian piano sempre più per creare questo tipo di spazio bisessuale che avevo sempre voluto avere per me.

QUARTA STORIA (2008): PRIMI PASSI ED INIZI


Dopo aver scritto il saggio per Getting Bi, la cosa successiva che feci fu preparare un volantino per il gruppo bisessuale al centro LGBT. Mi piacque il mio primo incontro con il gruppo, ma fui disturbata dalla schiacciante maggioranza di uomini cisgender [Nota 27] in un gruppo che aspirava ad essere di genere misto. Scrissi per il volantino un testo che speravo attraesse le donne ed i devianti del genere e menzionai esplicitamente che il gruppo era aperto alle persone di ogni sesso e genere. Così, portare più gente nel gruppo era diventato il mio primo progetto di attivismo bisessuale. Fotocopiai e distribuii i volantini, feci pubblicità al gruppo in molti luoghi in Internet, ed ho anche lottato con la mia tremenda paura del pubblico per salire sul palco alla festa della comunità transgender (DressUP) [segue]

Nota 27/58

Cisgender è una persona a cui sta bene il sesso assegnatole alla nascita - ovvero, l'opposto di transgender.

Nota 26/58

Razzializzato significa: persone di cui generalmente si percepisce come avente una "razza" od essere "di colore". Il termine critca la normalizzazione eurocentrica della Bianchezza Occidentale come un default senza razza né colore.

Nota 25/58

Per saperne di più sul potenziale sovversivo della bisessualità, leggete questo post sul mio blog, Eisner (2010).

martedì 23 luglio 2013

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[precede] Ed ora l’anno era il 2008, ero nel corteo del Pride di Gerusalemme, guardavo i miei amici che parlavano con Elad Livneh, che li invitava ad entrare nel primo gruppo di sostegno e sociale a Tel Aviv. Mi eccitai e mi unii alla conversazione. Mi presentai ad Elad, con cui avevo solo parlato online prima, e gli chiesi del gruppo, chiedendomi come fosse possibile che io non ne sapessi nulla. Mi disse che il gruppo era relativamente nuovo e si incontrava una volta al mese nel nuovo centro LGBT di Tel Aviv [sito, mappa Google]. Fui letteralmente travolta dalla gioia. Era una cosa che avevo atteso per anni.

Ci volle un altro mese prima che finalmente mi presentassi al gruppo per la prima volta, ma quel mese aveva fatto partire un grande cambiamento nella mia vita e nella mia storia di attivista. La prima goccia fu una mail inviata da Elad al gruppo il 30 Giugno 2008. Insieme con i dettagli tecnici sul luogo e l’ora del successivo incontro, c’era anche una richiesta inviata ad Elad da un’attivista bisessuale americana, una donna di cui non avevo mai sentito parlare, chiamata Robyn Ochs [Nota 22]. Robyn stava curando la seconda edizione di un’antologia di testi personali di bisessuali di tutto il mondo, ed aveva chiesto ad Elad di richiedere dei testi alla comunità israeliana. Questo portò a due cose: uno, avevo già letto uno dei miei primi libri sulla bisessualità: Getting Bi (Ochs & Rowley, 2005) [Nota 23]; due, scrissi un testo per la seconda edizione. Quest’ultima azione non fu meno storica per me – fu la mia prima azione da attivista bisessuale, a cui ne seguirono molte altre. Fu anche la mia prima pubblicazione in un libro, che mi eccitò molto.

Il mio saggio fu profondamente influenzato dall’impressione che avevo avuto dal libro quando lo lessi. Non mi piacquero molte cose che ci trovai – insieme con la felicità e l’eccitazione dell’aver finalmente letto un libro che rifletteva alcune mie esperienze e discuteva esplicitamente la bisessualità, trassi molto sconforto dal linguaggio basato sul binarismo dei generi e dalla politica liberale/assimilazionista che trovai nella maggior parte dei saggi. Nel mio testo, cercai di prendere il più possibile le distanze da quel discorso, e lo feci respingendo la parola bisessuale ed identificandomi invece come pansessuale. Il mio saggio identificava il binarismo dei generi e l’assimilazionismo con la parola bisessuale, e faceva della pansessualità una cosa più radicale, più queer ed in generale più evoluta della bisessualità. Queste erano le mie opinioni all’epoca, ed ora le trovo tipiche (di molte parti) del discorso panessuale. Ora riconosco questo tipo di opinione come un’eco della bifobia, che pone la bisessualità come un ‘altro’ oppressivo/privilegiato/apolitico in contrasto con altre identità che sono in qualche modo più naturalmente più sovversive/radicali/politiche – una pratica vecchia e familiare nel linguaggio LGBTQ [Nota 24]. Ora, mentre continuo ad oppormi con forza al linguaggio basato sul binarismo dei generi del discorso bisessuale mainstream ed alle sue inclinazioni liberali/assimilazioniste, io ora pongo questa nozione non nella parola bisessualità, ma nello sviluppo storico del movimento bisessuale negli USA ed in Europa, che ha portato a questo tipo di politica problematica. Detto, questo, finora, ad onta della mia passione e del mio apprezzamento del movimento bisessuale in genere, guardando al mainstream [segue]

Nota 24/58

Per saperne di più su bisessualità e binarismo, guardate il post sul mio blog, Eisner (2011b) [è il primo dei due post tradotti qui].

Nota 23/58

Vedi Ochs e Rowley (2005). Avevo letto altri libri prima, ma erano relativamente pochi e sparsi.

Nota 22/58

Robyn è stata sin da allora una delle più grandi influenze ed ispirazioni per il mio attivismo bisessuale. La sua passione, forza, saggezza e tenace dedizione alle cause della bisessualità, del femminismo e dei diritti LGBTQ mi hanno dato più di quello che potrei dire in una nota in calce. Grazie, Robyn!

Pagina 15/57

[precede] perché era intesa soprattutto per i maschi gay. Ho partecipato due volte al gruppo giovanile lesbico, e non ci sono mai più tornata, dacché era inteso solo per le lesbiche. In quegli anni (mentre partecipavo a quei gruppi, e per molto tempo dopo), l’associazione GLBT continuava a pubblicare un annuncio nella rivista Pink Times [Nota 20] che diceva che presto avrebbe aperto un gruppo bisessuale. Io di tanto in tanto chiamavo per chiedere quando avrebbe iniziato ad incontrars i, ma non accadde mai. Alla fine, smisi di provarci. Quando nel 2005 fu fondato a Gerusalemme il primissimo gruppo di sostegno (dalla prima organizzazione bisessuale israeliana, Bisessuali in Israele, con la collaborazione della CAG), io decisi di non partecipare, dacché sentivo che Gerusalemme era troppo lontana per me per andarci tutti i mesi (questo avvenne prima delle veglie del Pride, quando io ci andavo tutte le settimane). Il Duemilacinque era anche l’anno in cui il primissimo blocco bisessuale marciò al Pride di Gerusalemme (organizzato da Bisessuali in Israele), ma non ero lì per vederlo, né ne sentii parlare. Sapevo che esistevano Bisessuali in Israele, eppure non avevo ancora trovato il modo di contattarli od unirmi a loro. Nel 2006, alla vigilia della nostra marcia illegale, il gruppo bisessuale di Gerusalemme stava preparandosi per un blocco alla gabbia del pride. La loro mail di notifica diceva: “C’è una voce che corre secondo cui ci sarà comunque una marcia. Questa voce è falsa e fuorviante! Se questa marcia avrà luogo, sarà senza sicurezza né permesso”. (Allora non ci badai molto, ma leggendola adesso, ne apprezzo l’ironia). I miei amici ed io stavamo in realtà progettando di marciare con il loro blocco – ma naturalmente, i nostri piani cambiarono quando organizzammo la marcia illegale.

E così, per anni attesi che fosse aperto un gruppo bisessuale, che una comunità bisessuale partisse, che accadesse qualcosa … e nel frattempo ero affaccendata con l’attivismo queer e non ci pensavo poi molto alla politica bisessuale. Ricordo delle conversazioni con i miei amici sulla bifobia e sulla cancellazione bisessuale. Noi talvolta parlavamo di come ci sentivamo ignorati ed emarginati come bisessuali nella comunità queer. Ma le nostre conversazioni non scesero mai più in profondità, e sembrava che ci fosse sempre qualcosa di più importante da fare o di cui parlarne. In realtà, non ho mai sentito che fosse possibile farci qualcosa.

Io ricordo un giorno in cui ero in visita da un amico e vidi l’antologia Bisexual Politics (Tucker, 1995) sullo scaffale. (Il libro era venuto dalla biblioteca dell’Associazione GLBT dopo che la partner del mio amico ne fu cacciata per aver sposato un uomo, provando così che lei era ‘in verità etero’. Lei era la coordinatrice della comunità bisessuale dell’Associazione). Io mi ricordo che sentivo che avrei dovuto leggere questo libro, che questo era importante – ma qualcosa mi impedì di prenderlo. Come se non fosse stato abbastanza importante, oppure come se fosse troppo importante, ed io temessi di scoprire qualcosa che faceva male. Una mail che scrissi all’attivista bisessuale Elad Livneh [Nota 21] solo alcuni giorni prima della ‘marcia che non marciò’ descrive la mia intensa reazione emotiva alla bifobia su Internet, e cita questa reazione come la ragione per cui non ero più coinvolta con il forum online. Nel 2007, quando Bisessuali in Israele terminò le sue attività, ero troppo occupata a fare altro per rendermene conto … [segue]

Nota 21/58

Attivista di Bisessuali in Israele ed amministratore del forum bisessuale di http://gogay.co.il/ .

Nota 20/58

Era allora la rivista gay e lesbica di Tel Aviv (poi rilevata da un grande gruppo editoriale e ribattezzata “Tel Aviv in Pink”).

domenica 21 luglio 2013

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[precede] (non che si rivolgessero a me). Per molto tempo questi problemi riecheggiavano in me, ma non mi sentivo in diritto di chiamarmi "genderqueer". Non mi sentivo abbastanza 'queer' od abbastanza 'trans'. Il cambiamento ci fu quando mi fu dato un volantino sull'identità genderqueer nel primo blocco transgender a Tel Aviv. Spiegava che alcune persone genderqueer non sono sempre visibili come tali, e che non devi sembrare od agire in un certo modo per identificarti come genderqueer. Quello fu il momento in cui acquisii una nuova identità.

La mia esperienza con la comunità transgender continua ad essere significativa a tutt'oggi, anche se il mio rapporto con la comunità è stato molto contestato e spesso difficile. Questa comunità parlava - e parla tuttora - la mia lingua. È uno spazio radicale, favoloso, colorito, politico e creativo per le persone con identità multiple, e quello era un periodo di tempo in cui io sentivo di avere anch'io un posto in esso. In quella comunità io ho trovato una lingua, una politica, degli amici e degli amanti - ma ho trovato pure dolore, solitudine ed isolamento. Mi sentivo sempre più fuori posto. Continuare a scostarmi di quei 'pochi centimetri', sentirmi interpellata come qualcosa che non ero, stava affaticandomi sempre di più. Sembrava che essere bisessuale fosse fuori dal campo delle possibilità negli spazi che abitavo. Passare da donna mi rendeva inoltre invisibile nei termini della mia identità genderqueer. Io immagino che molte persone possono aver pensato a me come ad un alleata etero, anziché ad un membro a pieno titolo della comunità. Infatti, per molti anni ho internalizzato io stessa quest'atteggiameno ed ho immaginato di avere meno diritto di parlare dei problemi delle persone transgender ed 'a favore' delle persone transgender, una nozione che ho imparato soltanto ora a decostruire. Ed ovviamente, non si ricompensava mai bene il parlare della bifobia. Alla fine, fu il sentimento di alienazione che sentivo nella comunità transgender che portò alla mia necessità di fondare una nuova comunità bisessuale.

Ma questo accadde più tardi.

Il primo blocco transgender a Gerusalemme ci fu due settimane dopo il primo a Tel Aviv. Correva l'anno 2008. Ero in auto con il mio amico Mark (che aveva appena fatto il coming out come un transgender FTM [Nota 18]), un altro amico trans FTM, e due altri genderqueer bisessuali - tutti che venivano a partecipare alla marcia insieme con il blocco transgender. Non rievoco la marcia in sé - quello che accadde poi fu molto più importante. La prima goccia d'acqua che fece germogliare in me il seme dell'attivismo bisessuale. Dopo la marcia, raggiungemmo il Giardino della Campana, dove era stato montato un palco e si tenevano dei discorsi. (Alcune persone del blocco - e specialmente dalla nostra auto - decisero di strillare "bi e trans" ogni volta che uno degli oratori diceva "gay e lesbiche"). Tra i discorsi ed in mezzo alla folla, io vidi una delle persone della nostra auto che parlava a qualcuno, ed udii le parole "gruppo bisessuale" nella loro conversazione.

Ora ci vuole un interludio. In tutti i miei anni nella comunità LGBT (ci entrai a 16 anni e ci rimasi fino a quel giorno), stavo sempre aspettando che aprisse un gruppo bisessuale. Al liceo, partecipai al gruppo giovanile dell'Associazione GLBT [Nota 19] ma dopo un po' smisi di andarci [segue]

Nota 19/58

All'epoca, la più grande organizzazione LGBT di Tel Aviv [AR, EN, HE].

Nota 18/58

So che in alcune comunità USA, i termini FTM ed MTF sono considerati inaccettabili ed estranianti. Però, nella comunità transgender israeliana sono termini comunemente ed ampiamente usati. Io parlo delle persone come "FTM" od "MTF" dacché questo è il modo in cui si identificano e per rispetto per le loro identità e  per le nostre terminologie locali.

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INTERLUDIO (2006-2008): INTERSEZIONI ED INTERMEZZI


Una settimana dopo l’arresto, tornammo a Gerusalemme, questa volta a Piazza Sion [mappa Google], nel centro cittadino. Quello che iniziò come una sola veglia di protesta si trasformò in una campagna lunga un anno in cui il nostro gruppo stava in piazza un’ora ogni venerdì pomeriggio, con il sole o con la pioggia, portando cartelli, sventolando bandiere, distribuendo volantini e parlando alla gente dell’importanza della marcia del Pride. Al termine di ogni veglia, eseguivamo una marcia simbolica, camminando per la strada con i nostri cartelli e le nostre bandiere. Queste veglie ebbero grande successo e divennero notissime nella comunità, a Gerusalemme ed altrove, attirando ogni settimana sempre più partecipanti. Oggi si pensa che siano stati uno dei fattori che hanno contribuito all’approvazione della marcia del Pride a Gerusalemme l’anno successivo.

Penso a tutte queste cose come ad una parte della mia storia di attivista bisessuale. Non solo perché ero coinvolta nella loro organizzazione come bisessuale, ma anche perché questo è stato il luogo ed il modo in cui ho imparato a fare l’attivista bisessuale. I metodi, l’ideologia ed il pensiero critico attivista che ho imparato attraverso il mio attivismo radicale queer sono stati la base da cui ho cominciato a calcare il terreno bisessuale. Ho imperato a guardare le strutture di potere con occhio acuto, ho imparato a criticare la normatività (etero-, omo- e bi-), ho imparato ad identificare il razzismo, il sessismo e la transfobia con una sola occhiata, anche nelle loro forme più sofisticate. Ho imparato la stretta connessione tra tutte queste cose ed il capitalismo, il nazionalismo, il fascismo, il sionismo e l’occupazione. Ho imparato qualcosa sulle gerarchie intracomunitarie e con quanta premura ‘le brave persone che lottano per i nostri diritti’ ci getteranno a mare al primo segno di guai ed al servizio dei loro propri interessi. Ho imparato qualcosa sulla violenza, l’amore, la passione ed il comando. Ho imparato la solidarietà, la rabbia e l’orgoglio. Tutte queste cose le ho prese con me nella mia politica ed attivismo bisessuale.

La politica e le idee non sono state però le uniche cose che ho acquisito. Lentamente, la comunità che si è raccolta intorno al Pink-Black Bock, e le veglie per il Pride si trasformarono in quella che poi sarebbe diventata la comunità transgender. Rimase la politica radicale, ma cambiò l’obbiettivo. Cominciammo a parlare sempre più della politica transgender, delle identità transgender, del cissessismo e della transfobia. In quel periodo, ero piuttosto coinvolta in quella comunità. Ho frequentato feste ed altre attività, ed ho partecipato ai primi blocchi transgender a Gerusalemme ed a Tel Aviv. Mi sono collegata alla politica trans gender in modo molto profondo, ed ho cominciato a leggere tanto sull’argomento, che ha trovato in me risonanza. Ma mai completamente. I testi che leggevo ed il discorso nella comunità si concentravano soprattutto sulle esperienze trans mascoline. Mi collegavo con l’idea che il genere è mutevole, con la decostruzione del binarismo di genere e con la denaturalizzazione del sesso – ma le esperienze ivi descritte non erano le mie. Non pensavo però che questo fosse anormale – la mia esperienza di bisessuale mi ha ben preparato a scostarmi di qualche centimetro appena per ‘conformarmi’ alle immagini di cui stavo leggendo e parlando [segue]

mercoledì 17 luglio 2013

Nota 17/58

Nota 17: Il giorno santo della settimana ebraica è Sabato, e tutti i trasporti pubblici smettono di funzionare all’inizio dello Shabbat – il venerdì pomeriggio.

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[precede] ricordo l’arresto come tanto brutto, anche se ora, mentre scrivo, è sorprendentemente difficile pensarci. Noi tutti rimanemmo sull’autobus e decidemmo degli arresti di solidarietà – ovvero, che nessuno sarebbe stato libero finché tutti non fossero stati liberi. Ci rifiutammo pure di scendere dall’autobus finché la polizia non avesse esaudito la nostra richiesta di farci stare tutti insieme. Le prime due ore erano anche divertenti, e sembravano più una gita scolastica frocia che altro. Noi cantavamo canzoni froce ai pulotti e ci baciavamo davanti a loro. Dirigere un autobus pieno di gente facendole cantare Lumberjack Song [YouTube, Wiki] dei Monty Python fu uno dei miei momenti migliori quel giorno. Noi usavamo i cellulari per leggere le notizie su di noi in Internet. Ridevamo al modo in cui i notiziari ci descrivevano, e ci arrabbiammo per la risposta di CAG (sono passati alla storia dicendo: “Non abbiamo niente a che fare con quegli anarchici da Tel Aviv”). Parlavamo, ridevamo, eravamo seduti ed aspettavamo.

Ma, con il passare delle ore, il senso di soffocamento e di strettezza dell’autobus diventava sempre più insopportabile per tutti. Le persone divenivano sempre più stanche e meno pazienti. Litigai con il mio partner, il che a ripensarci lo ritengo la prima crepa nella nostra relazione – una crepa che, sei mesi dopo, avrebbe portato alla rottura. Poiché ci rifiutavamo di scendere dall’autobus, non potevamo nemmeno andare al bagno. Non c’erano né cibo né acqua, dacché a nessuno era venuto in mente di portarne, ed ai poliziotti non importava proprio niente delle nostre necessità.

Non mi chiesi allora perché nessuno dell’altro Pink-Black Block non veniva alla stazione (per aiutarci e portarci del cibo). Solo anni dopo udii che nel momento in cui venivamo arrestati, le persone che vennero alla ‘gabbia del Pride’ erano occupate, sedute nel tentativo di mettersi d’accordo su cosa fare.

Infine, i poliziotti cominciarono a lasciarci fare i turni per il bagno, prendendone due alla volta. Poco dopo, alla fine cedetter e ci lasciarono stare insieme per gli arresti e gli interrogatori (ma loro presero solo cinque dei nostri, e solo tra le persone che passavano da maschio). Nel frattempo, ci spostammo dall’interno dell’autobus al cortile della stazione di polizia, dove ci sedemmo all’ombra. Quando alcuni amici arrivarono con cibo ed acqua (che ci passarono attraverso le sbarre del cortile), noi eravamo quasi all’estasi. Finimmo tutto il cibo in 10 minuti. Dopo essere rimasti seduti un po’ più a lungo, decidemmo di improvvisare un corso di autodifesa, in cui uno dei partecipanti ci insegnava come evitare l’arresto (speravamo che i pulotti apprezzassero l’ironia). La nostra lezione fu interrotta prima della fine, dacché la polizia decise di lasciarci andare via tutti.

Il sole tramontava, e noi camminammo verso il centro cittadino. Era un venerdì, e quelli di noi che venivano da Tel Aviv avevano perso l’ultimo autobus [Nota 17]. Ci fermammo per alcuni minuti sull’orlo di un dirupo, osservando Gerusalemme immersa nella luce dorata del tramonto. Sotto di noi, come un serpente di cemento, giaceva il muro di separazione, che divide Gerusalemme in porzioni ebraica e palestinese, imprigionando quelli dalla parte della Palestina. Ricordo di aver guardato quel muro – allora relativamente nuovo – e di essermi sentito del tutto disperata. [segue]