mercoledì 7 agosto 2013

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[precede] il messaggio? Chi aveva il potere di scegliere la risposta della comunità? Chi aveva il potere di decidere chi sale sul palco a parlare e chi viene azzittito? Tutte queste questioni si riflettevano anche sulla riunione, dacché continuavano ad urlarci contro, ad interromperci e (come sempre), eravamo accusati di violenza ed aggressività. Una mia amica, che soffriva di stress post-traumatico, aveva cominciato a de compensarsi nella sala d’ingresso del centro e (mi avrebbe detto poi), fu spinta violentemente dal direttore del centro LGBT per “aver fatto troppo casino”. La riunione fu interrotta e poi riconvocata, ma senza cambiamento di atteggiamento o disponibilità ad ascoltare quelli tra di noi che erano diversi.

Dopo tre ore di casino, noi salimmo le scale per un incontro di supporto queer. Quando arrivammo alla stanza, svenni sulle scale piangendo. Nella mia testa, ero tornata a Gerusalemme, dove io ed i miei amici fummo picchiati e cacciati a calci dal palco per aver tentato proprio la stessa cosa: far sentire la nostra voce. Proprio come allora, io ed i miei amici avevamo affrontato le persone al potere nel tentativo di parlare per noi stessi, sperando di trovare uno spazio di accettazione, una crepa di solidarietà, solo per essere respinti, azzittiti ed esclusi una volta in più.

Val la pena notare le ragioni per il nostro silenziamento, che hanno due livelli: il visibile e l’invisibile, il detto ed il non detto. A livello visibile e detto, la ragione più citata per l’averci azzittito – ed il continuare ad azzittirci, è la nostra politica radicale di sinistra. Questo vale la pena notarlo perché la nostra opposizione all’occupazione è valutata come assai problematica – il collegamento che abbiamo cercato di esporre, tra la sparatoria, l’occupazione e la violenza razzista in Israele era uno a cui la maggior parte degli assimilazionisti si è fortemente opposta – specialmente perché esprimere apertamente queste opinioni avrebbe rovinato la novella storia d’amore con il governo. A livello invsibile e non detto giacciono la bifobia, la transfobia e la lesbofobia: la credenza che i nostri gruppi, le nostre opinioni e le nostre lotte sono nel migliore dei casi marginali e poco importantii, e nel peggiori un’impudente intralcio alla corretta organizzazione della comunità ed alla sua agenda.

Alla fine, le pressioni funzionarono. Con non piccolo sforzo, dopo l’incontro ed il casino, dei membri della Coalizione Rosa, me compresa, avevano fatto più pressione possible sul Comune ed i suoi funzionari perché lasciassero che bisessuali, transgender, lesbiche e palestinesi avessero una rappresentanza sul palco alla manifestazione di sabato. E così, in una manifestazione di 3 ore, dopo 20 minuti concessi esclusivamente al nostro LGBT-fobico presidente Shimon Peres, e molti minuti dati a diversi uomini bianchi cis, etero e gay, l’unica oratrice lesbica ricevette 5 minuti per parlare, l’oratore trans gender ne ricevette 2, l’oratore bisessuale 30 secondi, così come l’oratore palestinese gay. Dopo l’incontro, il Comune aveva inoltre cambiato lo slogan della manifestazione da: “Non abbiamo paura” ad “Andare avanti con orgoglio”, un messaggio appena meno patriarcal/militarista. Questa fu la prima volta nella storia della comunità israeliana LGBTQ che un rappresentante bisessuale fu invitato in anticipo a parlare dal palco. Dopo, il Comune fu applaudito dalla comunità per l’ampia diversità che aveva consentito. Ben poco [segue]

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