sabato 27 luglio 2013

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[precede] i fondi per organizzare la parata annuale, un problema che portò al rilevamento del corteo del Pride da parte del Comune di Tel Aviv.

Nel 1998 io ero una studentessa liceale della 10^ classe, molto appassionata di quelli che allora pensavo fossero i “diritti gay e lesbici”. Non avevo idea che questi cortei che frequentavo negli anni tra il 1998 ed il 2000 erano i primi ufficiali in Israele, sapevo solo che per me era importante esserci. Ma questa non fu una scelta facile. Anche quando era ancora l’Associazione GLBT la responsabile del corteo, esso era diventato insopportabile. Primo va ricordato che Giugno a Tel Aviv è caldo, caldissimo. Marciare per le strade nel pomeriggio non è cosa dappoco per nessuno; però è una cosa che io e molti altri siamo disposti a sopportare, se lo scopo è importante. Però il problema vero per me era la struttura della parata – una carovana di camion che suonavano musica a tutto volume e facevano pubblicità a vari sponsor commerciali, riducendo al silenzio i suoni dei blocchiLGBT veri e propri; i vari funzionari (etero) della città sul palco che non facevano che massaggiarsi l’io per delle ore; e nessuno chiaro messaggio politico se non quello di una festa consumistica – non è mai stata la mia idea di una manifestazione per chiedere un cambiamento sociale. Sentivo che il corteo era vacuo, fatuo e piatto. Scoprii che ogni anno partecipavo per principio, ma sentivo che esserci non significava assolutamente nulla. Alla fine, smisi di andarci (e non senza sensi di colpa).

Ora, se il corteo era commercializzato e fatuo sotto la responsabilità dell’Associazione GLBT, sotto quella del Comune lo divenne ancor più. Nel corso degli anni i camion divennero sempre più ingombranti, gli sponsor più grandi, ed il messaggio politico sempre più diluito. Ora che era il Comune di Tel Aviv il responsabile della parata, ora il Comune ed i suoi funzionari determinavano i messaggi, l’agenda ed il contenuto del corteo stesso. I Comuni, ovviamente, per loro natura non sono interessati alla resistenza – una resistenza all’LGBT-fobia [Nota 36] ed una richiesta di liberazione sarebbe naturalmente una minaccia alla struttura di governo della città e dello stato. Inoltre, un corteo del Pride come dimostrazione avrebbe sicuramente fatto scappare gli sponsor e tolto un’opportunità per la comunità di essere dei bravi consumisti nel sistema capitalistico. Il Comune perciò scelse di dare ancor più rilievo al ‘party’, al consumismo ed alle parti fatue del corteo, e di trascurare per gran convenienza i messaggi politici, la protesta e la resistenza, presentando l’illusione di una comunità Gay, Gay, Gay e Gay (GGGG) [Nota 37] felicemente unita, e calpestando con piacere le preoccupazioni e le necessità di praticamente tutte le popolazioni emarginate raggruppate nella sigla LGBTQ.

Nel corso degli anni, il Comune, insieme con il governo israeliano, ha trovato anche un altro uso del corteo del Pride a Tel Aviv – il pinkwashing. Il Ministero del Turismo, insieme con il Comune di Tel Aviv, ha scoperto che mettendo in risalto l’atteggiamento ‘tollerante’ d’Israele verso i GGGG, e presentando Tel Aviv come il paradiso ‘gay-friendly’ nel ‘barbaro’ ed ‘omofobo’ Medio Oriente arabo, loro potevano distrarre l’attenzione dai crimini di guerra d’Israele, dal genocidio e dalla pulizia [segue]

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