mercoledì 7 agosto 2013

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[precede] violenza, una società che produce omicidi. Lei parlò della sparatoria non come di un incidente isolato, ma come di un evento intrecciato con e germinato  da un’atmosfera sociale di violenza, militarismo, razzismo e sessismo – ed LGBT-fobia. In una società dove sta bene attaccare chi festeggia un matrimonio (se tu sei l’esercito e loro sono palestinesi), in una società in cui è accettabile deportare dei profughi fuggiti per salvarsi la vita, per il solo delitto di non essere ebrei e di essere neri, in una società in cui una donna su quattro viene stuprata, una su tre molestata, eppure le vittime sono azzittite, ignorate, trascurate o molestate - in una società come quella, è accettabile pure sparare in un club giovanile, in cui l’unica onta che macchia le persone lì dentro è essere LGBT. [Nota 45]

[Il traduttore ha il privilegio del tempo alle sue spalle, e sa che secondo la polizia israeliana, il sospettato Hagai Felician avrebbe sparato per un motivo privato (vendicare lo stupro subìto, a suo dire, da un suo congiunto); ma, come spiega qui il Ch.mo Prof. Aeyal Gross, la ricostruzione della polizia non spiega come mai una persona che voleva uccidere una vittima ben identificata, non trovandola, abbia deciso di compiere invece un massacro, uccidendo anche dei ragazzini poco più grandi del congiunto a suo dire stuprato.

Tra parentesi, il killer era entrato nel Bar No’ar mascherato – ma questo non aveva allarmato nessuno. A quanto pare, anche a Tel Aviv-Yafo ci dev’essere abbastanza LGBT-fobia da giustificare il camuffarsi quando si vuole entrare, anche con ottime intenzioni, in un club LGBT!]

Dopo che ebbe parlato la nostra rappresentante, terminò la veglia e la gente iniziò ad andare a casa. Una foto messa poi su Facebook mostra me seduta sul lato del Boulevard prossimo alla strada, con la mia bandiera in mano e con la mia testa sulla spalla di Lilach, cercando di non piangere. Avrei dovuto incontrare la mia famiglia per cena quella sera e cominciavo a chiedermi se questo era un buon momento per il coming-out. Il mio corpo era dolorante, ed io ero stanca ed avvilita. Avrei trascorso le 2 ore che mancavano ad un incontro aperto di Re-evaluation Counseling (RC) [Nota 46], organizzato e tenuto quel giorno per fornire sostegno ai membri della comunità LGBTQ. Dovetti andar via presto, correre a casa, cambiarmi d’abito, lasciare lì la mia bandiera, ed incontrare la famiglia al ristorante. Quando fui lì, loro dissero che stavo bene. [Invece] mi sentivo morire.

Lunedì si tenne un grande incontro al centro LGBT di Tel Aviv per discutere la risposta della comunità alla sparatoria, convocato dal Comune. Similmente agli incontri sul corteo del Pride di Tel Aviv ed il mese del Pride, quest’incontro, ad onta del nome altisonante, non intendeva chiedere il parere di nessuno, ma semmai aggiornare le organizzazioni ed i delegati delle comunità sulle decisioni già prese a porte chiuse. Noi venimmo all’incontro lunedì sera per sentirci dire che sabato, ci sarebbe stata una grande manifestazione in Piazza Rabin [mappa Google], e lo slogan della manifestazione sarebbe stato l’espressione militarista, resaci familiare dalla politica della destra israeliana, “Non abbiamo paura”. Ci lasciarono intendere che la lista degli oratori era già quasi pronta e che tutta la manifestazione era già in corso di organizzazione.

Ma non accadde solo questo. La notte della sparatoria si era formato un nuovo gruppo radical-queer (la Coalizione Rosa), come risposta alla sparatoria, alla politica interna alla comunità, ed al modo in cui venivano gestite le cose nella comunità. Come ho già accennato, le persone in posizione di potere avevano fatto del loro meglio per impadronirsi della protesta ed impedire risposte spontanee dal basso. Loro mantennero inoltre una cesura tra la sparatoria e tutte le altre forme di violenza nella nostra società. Quando il governo d’Israele ed i parlamentari avevano cominciato ad esprimere le loro condoglianze (senza dubbio per coltivare le loro pubbliche relazioni politiche, non per autentica tristezza), piuttosto che cogliere l’occasione di protestare contro le responsabilità proprie del governo per i massacri, la pulizia etnica, il razzismo, il capitalismo, il sessismo, l’LGBT-fobia e molti altri [segue]

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