martedì 16 luglio 2013

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[precede] marcia del Pride di Gerusalemme, da quell’anno e fin adesso, era che non la si dovesse tenere lì perché ‘offensiva’ per le comunità religiose. Ora, a quel punto, la marcia era stata spostata e rimandata già diverse volte. La notifica della polizia – la vigilia della marcia – che la marcia doveva essere annullata e convertita in un evento chiuso, non ci ha sorpreso. Molti di noi avevano discusso prima la questione. Avevamo pianificato un Pink-Black Block per la marcia, e molt di noi decisero che, in caso di annullamento, avremmo marciato comunque.

La ragione ufficiale dell’annullamento della marcia era ancora una volta legata all’occupazione ed alla violenza militare israeliana. La settimana prima, le forze militari israeliane avevano invaso la città di Beit Hanoun, nella Striscia di Gaza, ed ucciso 50 dei suoi abitanti. Una settimana dopo, giusto in tempo per la marcia del pride, la polizia ricorse all’ormai familiare pretesto dell’ubiqua “situazione della sicurezza” come scusa per annullare la marcia, citando il “timore di un’azione di rappresaglia” come motivo ufficiale della cancellazione. Ovviamente, tutti conoscevamo la vera ragione.

Quella sera presi l’autobus per Gerusalemme per partecipare ad un incontro di emergenza del Pink-Black Bloco. Prima che io venissi da Tel Avv, avevamo già cominciato ad  inviare mail chiedendo alla gente di venire a marciare con noi. “La liberazone non avviene grazie ad una festa, ed i diritti non si ottengono chiedendoli con garbo,” diceva la mail, “Non abbiamo bisogno che siano la polizia o la Corte Suprema [AR, EN, HE] a lottare per i nostri diritti. I cambiamenti avvengono quando le donne si alzano e proclamano: ‘Qui stiamo! Non possiamo fare altrimenti! – Domani marciamo, non possiamo fare altrimenti”.

A questo punto devo fare un passo indietro e spiegare chi eravamo: la prima marcia del pride illegale a Gerusalemme è stata, forse, la prima azione queer che ho organizzato direttamente. L’iniziativa venne dai miei amici (dell’epoca), dopo una precedente conversazione sull’argomento. Venni all’incontro  a Gerusalemme come rappresentante della nostra iniziativa per accertarci che la gente venisse a protestare con noi. La ragione per cui rimarco questo è che tutti noi tre eravamo bisessuali, e sebbene questo fosse un momento in cui noi non stavamo proprio pensando alla politica bisessuale, noi stavamo comunque facendo la differenza e cambiando la storia della comunità in un modo spesso non riconosciuto. Infatti, durante e dopo la nostra azione, tutte le notizie (in ebraico ed in inglese), così come il discorso comunitario, si riferivano alla nostra protesta, agli organizzatori ed ai suoi partecipanti, come o “gay” od “omosessuali” (anche se la stessa protesta includeva persone di molti orientamenti sessuali ed identità di genere).

L’incontro  a Gerusalemme quella sera era carico di elettricità, potevi sentire l’eccitazione e la tensione nell’aria. Erano presenti tante persone, ed ognuno ce l’aveva con la polizia, anche se non tutti  erano d’accordo su quel che c’era da fare in proposito. Alcuni di noi volevano protestare illegalmente, altri volevano portare il nostro messaggio nell’evento chiuso del Pride. Alla fine, dopo aver capito che non ci si poteva mettere d’accordo, decidemmo di dividerci in due gruppi. Coloro che volevano marciare tornarono a casa [segue]

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