mercoledì 24 luglio 2013

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[precede] dei gruppi bisessuali occidentali e della loro politica, continuo (dolorosamente) a ricordare le ragioni per cui la gente vuole disconoscere il movimento ed assumere una diversa identità. Per quanto riguarda la stessa parola bisessuale, io ora penso che sia una parola molto potente con molti significati politici radicali, che possono essere usati come base epistemologica per la decostruzione di molte gerarchie - nel discorso e nell'attivismo [Nota 25].

Un altro errore che ora vorrei correggere - l'ho scoperto solo leggendo un altro saggio nel libro dopo aver ricevuto la mia copia [presumibilmente dell'edizione del 2009, in cui appare anche il testo di Shiri Eisner, NdT] - un testo di Richard M. Juang (2009). Richard parlava delle persone razzializzate [Nota 26] e delle nostre famiglie d'origine, di come impariamo a vergognarci delle nostre famiglie e ad enfatizzare la distanza dalle nostre culture d'origine come prova e fondamento della nostra 'queerness = identità non etero'. Egli procedeva quindi fornendoci una narrazione alternativa, descrivendo come la sua famiglia ed il suo spazio familiare abbiano contribuito allo sviluppo delle sue identità bisessuali e genderqueer. Mi sono identificata con il saggio per tutti  questi tre motivi - in quanto bisessuale, genderqueer e razzializzata. Dopo averlo letto, io capii di aver commesso lo stesso errore di cui Richard parlava nel suo saggio: scrissi della mia famiglia mizrahi come uno spazio conservatore, limitante, 'arretrato'. Questo era il mio tentativo di strappare Israele dalle opinioni orientaliste, scrivendo che "non tutte le famiglie" in Israele erano "come la mia". Però ora capisco che attraverso questo tentativo stavo soltanto rinforzando proprio quegli atteggiamenti verso gli israeliani razzializzati - in questo caso, le donne mizrahi della mia famiglia (che sono [invece] assertive, fiere e belle).

Ho scritto anche della mia identità, del luogo in cui vivo, e della comunità transgender in cui ero allora di casa. Parlai della solitudine, dell'isolamento e dell'oppressione. Terminai il saggio con le parole: "Voglio andarmene via da tutto questo. Voglio creare qualcosa di nuovo. Non so che cosa. Potreste aiutarmi?" Questa fu la mia invocazione di un nuovo tipo di attivismo. Di un nuovo tipo di comunità. Da quel momento in avanti cominciai ad assimilare lentamente questa nozione, facendo pian piano sempre più per creare questo tipo di spazio bisessuale che avevo sempre voluto avere per me.

QUARTA STORIA (2008): PRIMI PASSI ED INIZI


Dopo aver scritto il saggio per Getting Bi, la cosa successiva che feci fu preparare un volantino per il gruppo bisessuale al centro LGBT. Mi piacque il mio primo incontro con il gruppo, ma fui disturbata dalla schiacciante maggioranza di uomini cisgender [Nota 27] in un gruppo che aspirava ad essere di genere misto. Scrissi per il volantino un testo che speravo attraesse le donne ed i devianti del genere e menzionai esplicitamente che il gruppo era aperto alle persone di ogni sesso e genere. Così, portare più gente nel gruppo era diventato il mio primo progetto di attivismo bisessuale. Fotocopiai e distribuii i volantini, feci pubblicità al gruppo in molti luoghi in Internet, ed ho anche lottato con la mia tremenda paura del pubblico per salire sul palco alla festa della comunità transgender (DressUP) [segue]

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